La Bindi non si fa “sedurre” da Walter

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La Bindi non si fa “sedurre” da Walter

17 Luglio 2007

bindiveltroni_1.jpg Di filo da torcere al
super-sindaco della Capitale ne darà parecchio. Perché – complice la
provenienza toscana – Rosy Bindi non ama gli slogan generalisti e non ha peli
sulla lingua, come non ne hanno i suoi compagni d’avventura di una vita. Non ne
ha Arturo Parisi, che a Walter Veltroni e ai soloni del nascituro Partito
democratico non le ha mai mandate a dire.

Non ne ha l’amica senatrice Marina
Magistrelli, che alla supponenza con cui Dario Franceschini ha commentato la
candidatura del ministro della Famiglia alla guida del Pd (“mi auguro che Rosy
faccia come noi del ticket”), ha replicato con spietato sarcasmo: “Franceschini
usa un ‘noi’ di troppo: il candidato, infatti, è Walter Veltroni. Franceschini
non ha ritenuto di dover accettare la sfida e ha scelto di essere vice in una
competizione di rilievo…”.

La discesa in campo della
pasionaria della Margherita, per quanto penalizzata dalle regole e dalla
santificazione permanente del suo avversario, rischia di ammaccare la macchina
propagandistica messa in moto da Walter Veltroni più di quanto si possa
immaginare. Non solo perché Rosy Bindi incarna la ruvida concretezza di una
figura politica magari meno patinata, ma di certo capace di assumere delle
posizioni, condivisibili o meno che siano. Ma anche – e soprattutto – perché il
ministro potrebbe catalizzare su di sé la simpatia di quanti fino ad oggi, al
contrario del sindaco di Roma, si sono sporcati le mani con compromessi e
scelte impopolari nell’ambito della difficile esperienza di governo e della
travagliata gestazione del nuovo soggetto politico. Di quanti, in fondo, hanno
sempre mal digerito che a calarsi incontrastato come “salvatore della patria”
dopo tanta fatica (altrui) fosse l’ex segretario Ds, finito in Campidoglio
causa tracollo elettorale, ed ora investito di un ruolo messianico per il solo
merito d’aver osservato le difficoltà degli altri dal suo dorato aventino,
evitando sempre accuratamente di prendere posizione, e sfruttando il suo ruolo
marginale rispetto all’agone politico nazionale per rifarsi il maquillage a
suon di panem et circenses.

E così, succede che anche chi
l’ha duramente contestata sulle unioni civili e su tante altre cose (anche
questo giornale ha spesso ospitato interventi assai poco teneri e certamente
continuerà a farlo), oggi di fronte alla candidatura di Rosy Bindi per la
leadership del Partito democratico provi un moto di simpatia. Non solo per la
promessa di rinunciare ad ogni incarico istituzionale in caso di elezione, al
contrario del suo avversario. Ma anche, e soprattutto, perché per un Paese, per
una classe politica e per un elettorato, è più sano avere di fronte un
interlocutore con cui non si condivide nulla e di cui si contesta tutto, ma che
abbia il coraggio di decidere e di difendere le sue scelte, piuttosto che un
evanescente equilibrista in grado di assecondare allo stesso tempo i no-global
e i signori del mattone, di cercare sponda fra i cattolici e patrocinare
manifestazioni di segno opposto, di pronunciarsi a favore del referendum e non
firmarlo, di “sedurre” un’intera città. Opposizione compresa.

(claudia passa)