La Bosnia spera nel dialogo ma sotto la cenere cova ancora il nazionalismo

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La Bosnia spera nel dialogo ma sotto la cenere cova ancora il nazionalismo

06 Ottobre 2010

Prende forma l’assetto politico in Bosnia-Erzegovina dopo le elezioni legislative e presidenziali di domenica scorsa e si definisce l’organigramma della prossima Presidenza tripartita con la relativa suddivisione dei seggi non solo al Parlamento nazionale ma anche nelle singole Assemblee che rappresentano le tre diverse etnie del Paese, musulmani, serbi e croati.

In campo musulmano vince un moderato, fra i serbi si registra un successo degli ultra-nazionalisti, mentre i croati danno una conferma sostanziale della loro classe dirigente: questo l’esito, in parte inaspettato, delle elezioni, che dà una lieve speranza al dialogo tra le tre componenti etniche di un Paese da sempre diviso al suo interno, e che per questo motivo sconta un ritardo nel processo di riforme necessarie al processo di integrazione europea. Se i risultati finali confermeranno quelli parziali, sarà infatti più difficile per la Bosnia superare la posizione di stallo in cui si trova dal 2006, anno in cui sono stati bloccati alcuni dei provvedimenti ritenuti cruciali per il suo ingresso nella Ue.

Dopo una campagna elettorale che ha fatto leva sulla retorica nazionalista invitando gli elettori a votare per i candidati appartenenti al proprio gruppo etnico, sorprende che in testa sia proprio un musulmano moderato, favorevole al dialogo con la comunità serba. La vittoria di Bakir Izetbegovic, eletto nella Federazione Bh (l’entità a maggioranza croato-musulmana di Bosnia), e che potrebbe conquistare la presidenza tripartita del Paese, a detta di molti osservatori è stata una sorpresa. Izetbegovic, figlio di quell’Alija vecchio signore della guerra ex comunista, viene infatti considerato più moderato rispetto alle posizioni del presidente islamico uscente, Haris Silajdzic.

Per Silajdzic – membro storico del Sda, uscito dal partito negli anni scorsi in un mare di polemiche per fondare una nuova formazione politica (il Partito della Bosnia-Erzogovina) – si è trattato di una vera e propria debacle, visto che è stato superato non solo dal giovane Izetbegovic ma anche dal tycoon FahrudinRadoncic, proprietario del network Dveni Avaz e boss della ricostruzione post-bellica a Sarajevo. Silajdzic aveva tentato di superare l’Sda da destra, chiudendo a ogni forma di dialogo con la Serbia e guardando molto più alla Turchia che non alla Ue come "grande protettore" della Bosnia, ma il suo progetto a quanto pare è andato in frantumi. Secondo alcuni sarebbe questo il segnale della crescita di un voto "moderato", ma è molto più probabile che la sconfitta dell’ex presidente sia solo un regolamento di conti all’interno di quel sistema di interessi che ha gestito i 15 miliardi di dollari piovuti sul Paese dopo la guerra e spariti nel nulla, mentre la disoccupazione resta al 43%.

Nessuna sorpresa sul fronte serbo. Nella Republika Srpska ancora una volta è stata premiata l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (Snsd) del premier uscente nazionalista Milorad Dodik, che, votato a larga maggioranza, sarà il nuovo presidente della Rs. Uno degli esponenti del partito, Nebojsa Radmanovic, è stato invece riconfermato nell’incarico di membro serbo della presidenza tripartita con una vittoria di stretta misura sul candidato moderato Mladen Ivanic. Quest’ultimo ha sollecitato un’inchiesta alla Commissione elettorale poiché le schede non valide sarebbero tantissime, quasi il 10%. Sostanziale conferma, infine, sul fronte croato. Il Partito Social-democratico (Sdp), il cui esponente Zeljko Komsic è stato riconfermato a membro della presidenza tripartita triplicando i voti rispetto alle ultime consultazioni, non è riusciuto però ad imporsi nelle aree della Federazione a maggioranza croata, dove vincono i nazionalisti dell’Hdz (Comunità democratica croata), che a loro volta devono dividere il proprio consenso con gli scissionisti del "Hdz 1990?" e con il Partito del diritto puro (Hsp, ultranazionalista). Komsic e l’Spd invece sono da sempre su posizioni multietniche e contrarie a una politica nazionalista in Bosnia-Erzegovina. Il socialdemocratico avrebbe ottenuto crica il 60 percento delle preferenze ma non deve farsi illusioni.

Le timide speranze di un dialogo interetnico, tuttavia, devono fare i conti con la conferma della leadership nazionalista e radicale di matrice serbo-bosniaca. La comunità internazionale a questo punto puà solo aspettare e verificare se i cambiamenti scaturiti dalle urne indurranno i leader eletti, nazionalisti o moderati che siano, a trovare un’intesa per riportare la Bosnia-Erzegovina sul percorso europeo, realizzare le riforme previste dall’Accordo di stabilizzazione ed associazione all’Unione.