La Bp invischiata nella marea nera. Ora ci riprova col “tappo di rifiuti”

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La Bp invischiata nella marea nera. Ora ci riprova col “tappo di rifiuti”

10 Maggio 2010

Immaginate di aver riempito la vasca del vostro bagno per lavarvi. All’improvviso però, sotto il pavimento si rompe un tubo. Non è il tubo dell’acqua, bensì quello dello scarico della signora che abita sopra di voi, al terzo piano. A quel punto l’acqua con la quale la signora ha appena lavato i piatti, per la forte pressione, spinge il tappo della vasca e, dallo scarico della vasca, inizia a venir su l’acqua del piano di sopra. Cosa fare? Mentre aspettate l’idraulico volete tamponare la falla, perciò decidete di chiudere lo scarico della vasca con un tappo più grande di quello che c’era prima.

La questione però si complica un po’ se la vasca è il Golfo del Messico e se le tubature rotte contengono del  petrolio. Eppure, quello che stanno progettando gli ingegneri della Bp, la società petrolifera britannica che gestisce la piattaforma marittima Deepwater Horizon, è un vero e proprio tappo. Lo scopo è quello di fermare il petrolio che, a seguito di un’esplosione avvenuta il 20 aprile, sta fuoriuscendo ininterrottamente dalla piattaforma affondata al largo della Louisiana. Si parla addirittura dell’equivalente di 5mila barili di greggio al giorno (circa 750mila litri). Un disastro ambientale di proporzioni enormi che nel frattempo sta minacciando anche le coste dell’Alabama.

Ma la cosa ancora più strana, è che il tappo potrà essere fatto di rifiuti. Avete capito bene. Vecchi pneumatici tritati, palline da golf e rifiuti simili. Una massa di detriti che, spinta a forte pressione verso la falla, dovrebbe bloccare il petrolio in uscita. A rivelare il nuovo piano, attualmente al vaglio dei tecnici della compagnia britannica, è stato il comandante della Guardia Costiera Thad Allen, intervistato dall’emittente televisiva americana CBS. Ma l’attuabilità del singolare progetto è tutta da verificare, poiché l’operazione, eventualmente, dovrà essere svolta a circa 1.500 metri di profondità, dove la pressione dell’acqua è altissima.

Questo, in realtà, è solo uno fra i vari interventi che i tecnici stanno valutando per far fronte al disastro che si sta verificando. Si, perché le prime soluzioni escogitate non stanno dando buon esito. Neanche quella che doveva essere la più efficace: la cupola. Alta oltre 12 metri e pesante 78 tonnellate,  è una struttura in metallo e cemento progettata per incapsulare il tubo della piattaforma dalla quale fuoriesce il petrolio. Una volta installata e collegata ad un compressore in superficie, la struttura avrebbe dovuto aspirare fino all’85% del petrolio ancora presente in fondo al mare. Ma niente da fare. Per fissarla sul fondo sono stati usati dei robot subacquei pilotati dalla superficie: un’operazione alquanto difficile se si tiene conto dell’alta pressione. Perciò la cupola è stata posizionata male, e i tecnici della Bp stanno valutando se ripetere di nuovo l’operazione con una cupola più piccola.

Nel frattempo anche lo stato della Louisiana ha sottoposto alle autorità federali la sua proposta. Lo ha annunciato il governatore Bobby Jindal. Il progetto consiste nel creare un anello di isole artificiali per proteggere le coste dalla marea nera proveniente dal Golfo del Messico. Secondo il quotidiano ‘Washington Post’ il piano prevede la costruzione di un cordone di isole lungo circa 110 chilometri, ottenuto dragando sabbia e fango dal fondale marino e depositando il materiale lungo le coste esterne delle isole della Louisiana. Un simile progetto dovrebbe di norma essere preceduto da un accurato studio d’impatto ambientale, ma le autorità locali e dello stato della Louisiana intendono procedere d’urgenza data la gravità della situazione. Tra i territori a rischio contaminazione, infatti, vi sarebbero diverse isole ritenute veri e propri patrimoni naturalistici, come il "Breton National Wildlife Refuge". Ritardare l’intervento, avvertono le autorità, potrebbe aggravare ulteriormente il disastro a causa dell’imminente stagione degli uragani che minaccia di accelerare il cammino della marea nera verso le coste.

Per la Bp è una vera e propria lotta contro il tempo. La società infatti, sotto pressione per l’impatto disastroso che la fuoriuscita del petrolio sta avendo sull’ambiente, deve fare anche i conti con l’enorme perdita economica: ha reso noto che la marea nera gli è già costata 350 milioni di dollari (circa 270 milioni di euro). E’ per questo che la BP si è addirittura rivolta al pubblico, mettendo a disposizione un numero verde e aprendo un sito internet per raccogliere consigli e suggerimenti utili alla soluzione del problema. "Non so se funzionerà ma tutti vogliono fare qualcosa", ha detto il portavoce della Bp Bryan Ferguson.

A quanto pare, la mobilitazione corre veloce sul web – addirittura c’è chi sta inviando sacchetti di capelli e peli di animali per assorbire il petrolio – ma  il fallimento delle prime operazioni di contenimento durante le ultime due settimane, e le sempre più bizzarre iniziative adottate della società britannica lasciano pensare che le soluzioni al disastro non siano per nulla facili da adottare e che per di più la Bp, che ha dichiarato di aver fatto "tutto il possibile" per risolvere il problema, in realtà non sappia più che pesci prendere.