La Brambilla non c’entra, ora serve il partito unico

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La Brambilla non c’entra, ora serve il partito unico

25 Maggio 2007

L’articolo di Quagliariello mi pare colga la sostanza politica del problema “Brambilla” e ponga a Forza Italia obiettivi precisi. Tuttavia, credo che per una discussione esauriente occorra svolgere una considerazione più ampia, rivolta cioè non a un partito ma all’intero sistema politico.

Il problema della successione di Berlusconi esiste e va posto, credo, all’ordine del giorno. Ma non è un problema che si può risolvere all’interno del partito. Il centro-destra è più che un semplice cartello elettorale. Qualche settimana addietro sono stati resi noti  i risultati di un sondaggio tra gli elettori del centro-destra. Circa il 70% degli interpellati vede con grande favore la costituzione di un partito unico per questa parte dello schieramento politico. I sondaggi, si sa, vanno sempre presi con un certo beneficio d’inventario. In questo caso, però, l’indagine non rivela un’attitudine umorale, ma registra un sentimento radicato. Il centro-destra sta assieme elettoralmente da oltre dodici anni. In questo periodo ha superato, bene o male, le prove del governo e dell’opposizione senza smarrire una propria identità, ma semmai rafforzandola. Non è tutto merito delle capacità mediatiche di Berlusconi. Queste, semmai, sono servite a coaugulare un sentimento diffuso che non trovava ascolto nel sistema politico.

In questi giorni si è tornati ad agitare il fantasma dell’antipolitica. Si lamenta che la classe politica sia sempre più una casta autoreferenziale interessata solo ai propri meschini (o forse, ahimè, cospicui) privilegi e dimentica non solo del bene comune, ma anche delle legittime richieste dei cittadini. Non so quanto siano fondati questi richiami, ma ricordo perfettamente che questo paese ha già vissuto una ben più grave crisi di legittimazione quindici anni addietro. Nel 1992, finita la guerra fredda, il sistema politico a dominanza democristiana che aveva retto il paese nel lungo dopoguerra crollava repentinamente. Sparita l’Urss spariva anche l’antemurale dello scudo crociato. Su questa crisi strutturale si innestava la tempesta giudiziaria. Si creava perciò una situazione confusa nella quale il malessere a lungo covato trovava espressione in una crisi di rigetto che rischiava di travolgere le istituzioni e la stessa divisione dei poteri. Per fortuna la crisi si canalizzava, purtroppo in argini improvvisati, e a partire dal 1994, sia pure a fatica, il regime si riassestava. In questi tredici anni abbiamo conosciuto per ben due volte l’alternanza di governo e abbiamo avuto anche una sorta di governo di legislatura. Tutto questo non può dipendere, ripeto, dalle capacità mediatiche di un imprenditore buttatosi in politica, ma ha una ragione più profonda. Il fatto è che la democrazia immediata nella quale, alle elezioni politiche, due schieramenti si contendono la guida del paese per un arco di tempo definito è un meccanismo che risponde all’evoluzione sociale che l’Italia ha conosciuto nel lungo dopoguerra, quando è passata da una condizione premoderna a un individualismo di massa con venature postmoderne. In altri termini con quell’assestamento un po’ improvvisato il nostro paese ha fatto un passo decisivo per adeguare la propria vita politico-istituzionale a standard di civiltà europei. Certo, questo processo non è stato lineare e forti resistenze partitocratiche si sono manifestate. Resta però il fatto di un indubbio salto di qualità.

In questo concordo con Quagliariello, non credo che il vento dell’antipoltica spiri minaccioso come un quindicennio addietro, ma sicuramente esiste un malessere diffuso. Per venire incontro a questo sentimento non serve la demagogia, ma occorre perseguire obiettivi riconoscibili. La semplificazione e la trasparenza del sistema politico sono obiettivi che possono venire incontro al malumore e al rigetto per la politica. Dare vita a un partito unico di centro-destra nel quale possano convivere le sue diverse anime sarebbe il modo migliore non solo per ridimensionare il problema “Brambilla” ma anche per fugare – con un salto di qualità democratico –i fantasmi dell’antipolitica.