La Buchmesse chiude i battenti tra contestazioni e indifferenza
19 Ottobre 2008
di Vito Punzi
Per quanto ragionevolmente impossibile tentare sintesi di ciò che di rilevante è accaduto durante la Buchmesse di Francoforte che oggi chiude i battenti, qualcosa val la pena raccontarlo. Intanto che non è mai inutile esserci. Non puó mai esserlo. Almeno per chi lavora nell’editoria, nella comunicazione. Il problema è semmai con quali obiettivi, con il desiderio di capire che cosa, di incontrare chi.
E’ cosí che, in fin di fiera, si possono incontrare giudizi radicalmente diversi sulle giornate trascorse a rincorrere appuntamenti. Cosí, non nasconde la propria delusione un antesignano delle coedizioni internazionali: “c’è sempre meno interesse per progetti su grandi libri d’arte”, rileva, “piuttosto il mercato è indirizzato verso prodotti molto costosi, ma con dietro una bassissimo valore culturale: si cerca solo un’idea che faccia colpo.” Raggianti, invece, altri. E tra questi c’è la Libreria Editrice Vaticana. Alla proposta delle opere di Benedetto XVI, che qui fanno, com’era facile prevedere, da traino, la LEV è stata capace di presentare un programma editoriale ricco ed articolato. Insomma, un successo. Che dire altrimenti della presenza dell’editoria italiana? Impalpabile, quanto a visibilità (nessuna novitá tra gli stands) e incidenza sul clima della fiera. Basti dare un’occhiata al programma di incontri organizzati dall’Istituto Italiano di Cultura di Francoforte in questi giorni: appena nove incontri, solo con scrittori (ma la Buchmesse non é un festival letterario…). Senza contare che due terzi degli appuntamenti, chissá perché, sono stati voluti fuori del contesto fieristico e in orari impossibili per operatori e visitatori della Buchmesse. A quando, ministro Frattini, e perché no, ministro Bondi (visto che di cultura si tratta), una riforma radicale degli Istituti di Cultura italiani all’estero?
Un capitolo a parte merita la presenza turca in fiera, ingente (un centinaio gli editori), per quanto non troppo appariscente tra gli infiniti padiglioni. Da dove partire per provare a capirne il significato e gli esiti? Forse dalla fine, dalla conferenza stampa conclusiva di ieri, quando a dispetto dei commenti entusiastici espressi dai rappresentanti del Comitato che ha coordinato la presenza della Turchia (ospite d’onore della Buchmesse), un collega della Frankfurter Allgemeine chiede una presa di posizione rispetto agli atti vandalici commessi il 16 ottobre ai danni di due stands kurdi da parte di alcuni turchi. La risposta, che nelle intenzioni forse voleva essere una battuta, gela la stampa presente: “Qualcun altro deve fare domande sulla letteratura?” Non si scoprono certo oggi le contraddizioni turche e da questo punto di vista la Buchmesse ne é stata una buona vetrina. Almeno per i tedeschi e per gli altri occidentali, perché l’impressione é che la stragrande maggioranza dei turchi presenti in Germania abbia guardato in questi giorni a Francoforte con indifferenza. “Turchi, imparate il tedesco, diventate tedeschi!” Questo era stato l’appello del presidente Abdullah Gül il giorno dell’inaugurazione e proprio la necessitá di lanciare questo messaggio rivela come l’integrazione dei quasi due milioni di turchi presenti in Germania sia un problema ancora lontano dall’essere risolto. I dibattiti su questi temi non sono mancati, cosí come il boicottaggio di chi, tra gli scrittori, ha scelto di non essere presente (tra i piú importanti Leyla Erbil, Ahmet Oktay, Tahsin Yücel, Demir Özlü e Enver Aysever) per protesta contro il Comitato organizzatore, accusato di non essere autonomo e piuttosto troppo dipendente dall’attuale governo (dunque dall’AKP, il partito filo musulmano al potere).
I confronti tuttavia non sono mancati. A distanza quello tra Cem Özdemir, il parlamentare europeo uscito pesantemente sconfitto dal recente consiglio federale dei Grünen che doveva decidere il proprio candidato alla cancelleria per le prossime elezioni, e la sociologa Necla Kelek, insignita nel corso della fiera del premio “Donne Europa-Germania” per il suo sostegno all’integrazione delle immigrate musulmane. Entrambi hanno scelto la Germania come propria patria elettiva e tuttavia è come se vivessero in due distinte realtá. Özdemir ha usato la tribuna “amica” del settimanale liberal “Die Zeit” (la cui pregiudiziale contro la sociologa turca é vecchia di anni) per accusare la Kelek di essere ferma all’idea che le culture, cosí come le religioni, siano immutabili. Uno strano giudizio, da sinistra, contro una donna che si sta battendo da tempo per i diritti delle donne musulmane (e il riconoscimento ricevuto é lí a dimostrarlo). Da parte sua, la Kelek non ha dubbi sul fatto che l’attuale Turchia, la patria che nel suo ultimo libro definisce “dolceamara”, non sia ancora pronta per entrare in Europa. Al di lá di fenomeni che si potrebbero definire di “folklore giornalistico”, come il libro Super amici. Cosa abbiamo davvero da dirci noi tedeschi e turchi, scritto a quattro mani da Kai Dickmann e da Ertugrul Özkök, rispettivamente direttori delle testate scandalistiche „Bild“ e “Hürriyet”, resta l’augurio che la grande vetrina francofortese, fosse anche nel tempo, risulti essere stata d’aiuto al processo d’integrazione nell’esaltazione delle singole identitá. A Francoforte, intanto, giá si pensa alla Cina, ospite d’onore della Buchmesse 2009.