La caduta del Libano è una nuova Monaco
30 Maggio 2008
di Barry Rubin
Il 21 maggio 2008 è una data che da oggi in poi dovrebbe esser ricordata come un giorno infausto. Ma chi lo noterà, chi se ne renderà conto, chi verserà lacrime? Quel giorno, la Primavera di Beirut è rimastata sepolta sotto il regno di Hezbollah.
In un discorso del 5 ottobre 1938, all’indomani della consegna della Cecoslovacchia alla Germania nazista da parte di Francia e Inghilterra, Winston Churchill ammetteva: “Anche se ognuno di noi vorrebbe non sapere o dimenticare, dobbiamo tuttavia riconoscere di aver subito una totale, assoluta sconfitta…”. Al contrario, David Welch, assistente del segretario di Stato americano, ha affermato che l’accordo sul Libano è stato “un passo positivo e necessario”. Sarebbe più giusto che chi vende un Paese almeno lo riconosca, piuttosto che fingere che le cose stiano diversamente. E invece questo è proprio ciò che è accaduto a Monaco di Baviera, quando l’accordo raggiunto è stato presentato come una concessione foriera di pace, e in grado di soddisfare l’ultima richiesta territoriale della Germania nella regione.
Churchill aveva maggior cognizione e le sue parole si adattano perfettamente all’attuale situazione in Libano: “La parte più forte [la diplomazia occidentale] è stata in grado di guadagnare per la Cecoslovacchia. E così il dittatore tedesco, invece di afferrare tutte le vettovaglie dal tavolo, è stato ben più felice di farsele servire, una portata alla volta”. Certo, le cose sono andate esattamente così. Sotto ogni punto di vista, Hezbollah, Iran e Siria sono riusciti ad ottenere proprio ciò che volevano dal governo libanese: la sua cessione di sovranità. Ed ora hanno il potere di veto sul governo; un terzo del Gabinetto; la possibilità di effettuare le modifiche elettorali necessarie ad assicurare la vittoria nelle prossime elezioni; e così avranno il loro candidato nominato Presidente.
La maggioranza non si è completamente arresa, ma sta tentando di trovare delle piccole consolazioni. I migliori argomenti che riesce a portare riguardano il fatto che ora tutti sanno che Hizballah non ha senso patriottico, tratta gli altri libanesi come nemici, e non può impossessarsi delle aree in mano alle milizie dei cristiani e dei drusi. Non è molto di cui rallegrarsi. E tuttavia, come nel 1938, numerosi media stanno celebrando questa come una sorta di vittoria, in grado di assicurare pace e stabilità in Libano. Non è così. Se la Siria decidesse di assassinare più giornalisti, giudici o politici libanesi, nessuno investigherebbe. Nessuno osa intaccare il predominio de facto di Hezbollah su gran parte del Paese. Nessuno osa fermare il traffico d’armi al confine tra Siria e Iran. E in effetti, perché mai queste armi dovrebbero continuare ad essere trafficate clandestinamente? Nessuno osa interferire quando e se Hezbollah, sotto la guida di Siria o Iran, decide che sia giunto il momento di un’altra guerra con Israele.
Questa sconfitta non è stata soltanto assoluta. Era anche assolutamente prevedibile. Proprio come sosteneva Churchill: “Se solo la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia [oggi ovviamente aggiungeremmo anche gli Stati Uniti] si fossero impegnati due o tre anni fa a lavorare insieme per mantenere la pace e la sicurezza comuni, quanto sarebbe stata diversa la nostra posizione… Ma il mondo, e i parlamenti, e la pubblica opinione, non hanno visto nulla di tutto ciò in quei giorni. Quando la situazione era ancora gestibile, è stata trascurata. Ed ora che è sfuggita completamente di mano, ormai troppo tardi cerchiamo di porre rimedi che avrebbero dovuto fungere da cura.
E dunque cosa è successo dopo? Torniamo a Churchill: “E’ tutto finito. La Cecoslovacchia, in silenzio, tra le lacrime, abbandonata e a pezzi è ritornata nell’oscurità”. E’ una nazione che ha sofferto enormemente per aver riposto la propria fiducia nelle democrazie occidentali e nella Società delle Nazioni (attuale ONU). In particolare è stata tradita dalla Francia, cui tutti i cecoslovacchi allora, e i libanesi oggi, si erano affidati nella speranza di ricevere aiuto. Il consiglio di sicurezza dell’ONU il 22 maggio ha approvato l’accordo sul Libano, nonostante questo sia completamente in contraddizione proprio con la risoluzione del Consiglio stesso per porre fine alla guerra tra Hezbollah e Israele. Non è stato così in alcun modo rispettato l’impegno con Israele per fermare il traffico di armi, per disarmare Hezbollah e impedirgli di ritornare nel sud del Libano. La completa revoca delle richieste ONU avanzate da due anni a questa parte – che rappresenta di certo una netta vittoria per Hezbollah– non ha causato un minimo di vergogna. Né tantomeno qualcuno ha ammesso che tale revoca sia realmente avvenuta.
Tutto ciò rappresenta una vera vittoria per il terrorismo. In un certo senso è vero che gli sciiti del Libano – così come la minoranza tedesca sostenuta da Hitler in Cecoslovacchia – hanno validi motivi di scontento, e che Hezbollah può contare su un reale supporto nella sua comunità. Ma in che modo ha cercato di prevalere sulle altre comunità e sulle altre forze politiche del Libano? Attraverso omicidi e bombe (sebbene per mano di surrogati della Siria, piuttosto che direttamente), attraverso l’intimidazione e la paura, attraverso la demagogia e la guerra. L’Iran e la Siria aiutano i loro alleati: l’Occidente non fa lo stesso. E così il messaggio era: noi possiamo ucciderti; i tuoi amici non possono salvarti. Guarda la loro indifferenza! Puoi disperarti e morire.
E qui con un occhio al futuro, non ci resta che citare con convinzione un altro discorso di Churchill: “In futuro lo stato della Cecoslovacchia non potrà essere mantenuto come un’unità indipendente. Potrebbero trascorrere diversi anni, ma anche solo pochi mesi, e alla fine io credo che la Cecoslovacchia sarà inghiottita dal regime nazista. Forse questo avverrà per disperazione o per vendetta. Ad ogni modo, si tratta ormai di una storia nota e conclusa. Eppure non possiamo considerare l’abbandono e la rovina della Cecoslovacchia solo in base a ciò che è successo esclusivamente nell’ultimo mese. In realtà, rappresenta la conseguenza più dolorosa di ciò che abbiamo concluso, e di ciò che abbiamo lasciato inconcluso, negli ultimi cinque anni – cinque anni di inutili buone intenzioni, cinque anni di bramosa ricerca per la linea dell’ultima resistenza”. Di sicuro il Libano non scomparirà come Paese dalle carte geografiche – cosa che invece sarebbe nelle intenzioni dell’alleanza iraniana per quanto riguarda Israele – ma ormai si avvia a far parte del blocco iraniano. E non si tratta soltanto di qualcosa di negativo per il Libano stesso, bensì di un evento terribile per tutti gli altri regimi arabi. Ai sauditi va riconosciuto il fatto di aver tentato di salvare il Libano. Ma cosa accadrà ora che gli equilibri di potere si sta spostando? Ora sono meno inclini alla resistenza e più probabilmente seguiranno la linea occidentale, adottando una politica di appeasement.
Ancora Churchill nel 1938: “Non bendiamoci gli occhi di fronte alla realtà. Dobbiamo accettare che tutti i paesi dell’Europa centro-orientale tenteranno di stabilire i migliori rapporti possibili con il potere nazista, ormai trionfante. Il sistema di alleanze nell’Europa centrale, su cui la Francia faceva affidamento per la propria sicurezza, è stato smantellato, e non credo ci sia alcun mezzo per poterlo ristabilire. La via che va giù per la valle del Danubio sino al mar Nero, la via che porta lontano sino alla Turchia, è stata aperta”. In meno di quattro anni, i soldati tedeschi riuscirono a marciare proprio su quei territori, grazie ad una situazione ben peggiore di quanto possiamo immaginare sia quella in Medio Oriente. Eppure il trend verso l’appeasement e la resa potrebbe essere molto simile.
Churchill diceva: “Nei fatti, se non nella forma, mi sembra che tutti i Paesi del centro Europa saranno attratti, uno dopo l’altro, in questo vasto sistema della politica di potere – non solo potere militare ma anche potere economico – che si irradia da Berlino. E io credo che questo succederà in modo piuttosto naturale e rapido, senza richiedere lo sparo di un sol colpo”. Il suo esempio specifico era la Jugoslavia, il cui governo nel giro di tre anni era pronto ad unirsi al blocco tedesco (ma gli è stato impedito di farlo attraverso un colpo di stato organizzato dagli inglesi – tuttavia inutilmente, visto che il Paese è stato poi invaso e conquistato dall’esercito tedesco). E’ sufficiente cambiare i nomi dei paesi coinvolti per rendere il discorso di Churchill assolutamente attuale: “Vedrete che, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, molti di quei Paesi, intimoriti dall’ascesa del potere nazista si arrenderanno”. Ci sono state forze “che guardavano alle democrazie occidentali e respingevano l’idea di sottostare a questa regola arbitraria del sistema totalitario, sperando che fosse opposta una qualche resistenza”. Ma ora tali forze sarebbero completamente demoralizzate (nella miglior ipotesi meno attive nella resistenza, nella peggior ipotesi passando dalla parte opposta).
Churchill sapeva che i leader del suo Paese avevano buone intenzioni, ma questo non era abbastanza. La sua analisi del modo di pensare inglese è perfettamente applicabile sia all’Europa, sia all’attuale politica del Presidente Bush, sia al pensiero del Senatore Barack Obama: "E’ desiderio del Primo ministro che si instaurino relazioni cordiali tra questo Paese e la Germania. Non esistono ostacoli a relazioni cordiali tra i due popoli. I nostri cuori sono in sintonia con i loro. Ma non hanno potere. E non sarà mai possibile stabilire un rapporto di amicizia con l’attuale governo tedesco. Si devono avere relazioni diplomatiche, improntate a correttezza, ma non potrà mai stabilirsi un rapporto di amicizia tra la democrazia britannica e il potere nazista; un potere che esalta lo spirito d’aggressione e di conquista, che trae forza e un piacere perverso dall’uso della persecuzione, che, come abbiamo potuto ben vedere, utilizza con spietata brutalità la minaccia della furia assassina. Un potere del genere non potrà mai rappresentare un amico fidato per la democrazia britannica." Churchill comprendeva perfettamente come i nemici della sua nazione prendessero sul serio la propria ideologia, facendo sì che le loro ambizioni e i loro metodi risultassero incompatibili con il suo Paese. E alla fine, Churchill si è reso conto di quale fosse il trend in atto: le cose sarebbero andate peggiorando sempre più e persino criticare il nemico sarebbe diventato scorretto sul piano politico: "Nel giro di pochissimi anni, se non addirittura di pochissimi mesi, ci troveremo di fronte a richieste che in qualche modo dovremo essere in grado di soddisfare. Richieste che potrebbero riguardare l’abbandono del territorio o l’abbandono della libertà. Io prevedo, e voglio dirlo sin d’ora, che la politica della sottomissione porterà con sé restrizioni alla libertà di esprimersi e di dibattere in Parlamento, nelle tribune pubbliche e nei dibattiti sulla stampa. E così si dirà – anche se l’ho già sentito dire – che non possiamo permettere a ordinari, comunissimi politici inglesi di criticare il sistema dittatoriale nazista. E così la stampa sarà sotto controllo, sia in modo diretto che (ancor più efficacemente) in modo indiretto. Ogni mezzo d’informazione pubblica sarà portato, come sotto effetto droga, ad esser completamente acquiescente. E proprio in queste condizioni noi continueremo ad esser guidati lungo le tappe del nostro viaggio".
In breve, parlare di "Germanofobia" o della volontà di portare guerra ponendo resistenza alle richieste e all’aggressione della Germania, sarebbe… proibito, come spesso succede nei dibattiti contemporanei, dove chi si vanta di essere "politically correct" in nome della società democratica, in realtà fa il ruffiano con i regimi dittatoriali e l’ideologia totalitaria. Churchill aveva previsto la possibilità di vittoria, ma solo nel caso in cui le nazioni libere – e anche quelle non completamente libere, i cui interessi le spingessero comunque ad opporsi alla minaccia – si fossero mostrate forti e pronte a cooperare: "Non pensiate che questa sia la fine. E’ piuttosto solo l’inizio dei conti. E’ solo il primo sorso, il primo assaggio di un’amara tazza che ci verrà offerta anno dopo anno, a meno che, attraverso una ripresa suprema di moralità e vigore militare, riusciamo a rialzarci e a mantenere una posizione salda in difesa della libertà, come ai vecchi tempi”.
Wow. Beh, se ancora non riuscite a cogliere il parallelismo con i tempi attuali, lasciate che io prosegua da solo. Il breve periodo di indipendenza del Libano è terminato. Ormai il Paese è stato incorporato – almeno in parte, e probabilmente sempre di più in futuro – nel blocco iraniano. Solo tre anni fa, in seguito all’assassinio dell’ex Primo ministro Rafiq Hariri, quasi certamente voluto dai più alti vertici del governo siriano, un movimento popolare di massa, chiamato "La Primavera di Beirut", ha dato il suo valido contributo nell’espellere le milizie siriane. Il governo che ne è scaturito è stato definito "pro-occidente" dalla stampa, ma avrebbe anche potuto esser considerato pro-Libano. Dimenticate le trattative tra israeliani e palestinesi (e oggi tra israeliani e siriani), ed anche gli ultimi report provenienti da Iraq o Afghanistan. Ciò che è successo in Libano ha un significato assolutamente superiore. Mentre, infatti, tutti quegli altri sviluppi alla lunga cadranno nel dimenticatoio, l’espansione dell’area di influenza siriano-iraniana in Libano si rivelerà l’evento più importante e duraturo.
I sostenitori del governo libanese – la leadership della maggioranza delle comunità dei sunniti musulmani, dei cristiani e dei drusi – si sono arresi di fronte alle richieste di Hezbollah. E chi può biasimarli? Con il susseguirsi di atti terroristici e omicidi, con l’offensiva di Hezbollah per impadronirsi dell’area ovest sunnita di Beirut, con la perdita di ogni sostegno da parte dell’Occidente, non hanno potuto far altro che ammettere la totale impossibilità di vittoria. I politici, gli intellettuali, gli accademici e gli ufficiali in Occidente intanto vivono nell’agio. Le loro carriere decollano spesso proprio in stretta correlazione con la loro incapacità di comprendere, spiegare e agire in Medio Oriente. In più, in moltissimi hanno confermato nei fatti ogni stereotipo negativo che gli islamici hanno di loro: avidi di petrolio e commercio, codardi nell’affrontare aggressioni, facilmente ingannabili, ancor più facilmente divisi tra loro stessi, data la mancanza di fiducia nella società e nella civiltà d’appartenenza.
In un’affermazione di stupidità che ha quasi dell’incredibile, il New York Times ha dichiarato: "Tutti sapevano che il Presidente Bush si stesse riferendo al Senatore Barack Obama la scorsa settimana, quando ha paragonato coloro che approvano il dialogo con ‘terroristi e radicali’ ai sostenitori dei nazisti”. Ricordo che, durante la Guerra Fredda, si diceva che se un ufficiale o un sostenitore sovietico avessero iniziato una dichiarazione del genere – lo sappiamo tutti – di certo ne sarebbe scaturita una menzogna. Ed è così anche in questo caso. Per diversi anni, la maggiore critica rivolta a Bush è stata incentrata sulla sua strategia di pressione e isolamento nei confronti di Iran, Siria, Hamas, Hezbollah e i vari terroristi. Se n’è parlato con qualsiasi mezzo: centinaia e centinaia di articoli, discorsi, report e quant’altro, tutti incentrati proprio su questo argomento. Si tratta senza dubbio del problema "number-one" che l’Amministrazione deve fronteggiare. Improvvisamente, riguarda solo il Senatore Barack Obama. Che stupidaggine.
Allo stesso modo, il punto-chiave non è rappresentato dai contatti con le forze estremiste, quanto piuttosto dalla misura della severità, della pressione e dell’isolamento che vanno adottati in opposizione alle concessioni (tra le quali rientrano già le sole negoziazioni) e i compromessi. Ad esempio, per anni si sono avuti numerosi e continui contatti con l’Iran circa la questione nucleare, incoraggiati dall’Amministrazione Bush. Ma sono risultati tutti un fallimento. Per qualcuno, arrivare e dire che non ci siano stati tentativi di negoziazione è davvero ridicolo. Ma c’è un elemento nascosto, che in realtà si evince da quanto segue:
– La vera colpa è nostra, non loro.
– Voi non avete offerto abbastanza
– Ed asserire che non ci sia possibilità di accordo a causa delle intenzioni e del comportamento della parte avversa, è sempre inaccettabile. Ciò significa che, seppure il dialogo con gli antagonisti non riesce a portare ad alcuna soluzione concreta, è comunque necessario continuare ad ascoltare le loro lamentele, evitando di offendere, mantenendo l’atteggiamento di chi cerca, concede e si scusa.
In un tale contesto, qual esempio migliore di questa pericolosa disposizione potrebbe esserci se non Obama, il probabile candidato democratico e possibile futuro Presidente degli Stati Uniti? Secondo quanto affermato proprio da Obama in un comizio nell’Oregon, l’Iran non “rappresenta una seria minaccia” per l’America. Il suo ragionamento è preoccupante come – se non ancor di più – le sue conclusioni. Il Senatore ha infatti spiegato che l’Iran ha davvero poco da investire nella difesa, così qualora “tentasse di minacciarci seriamente, non avrebbe alcuna chance di farcela”.
Ora possiamo essere sicuri che gli iraniani non caricheranno i loro soldati dentro navi da sbarco e non prenderanno d’assalto le spiagge del New Jersey. Purtroppo non è questa la loro strategia militare. Forse Obama non comprende che un comune bombardiere B-1 costa meno di un bombardiere-kamikaze. Forse non ha mai sentito parlare della strategia di guerra asimmetrica? Lasciamola stare. Ma ha sentito parlare del terrorismo, del bombardamento della caserma dei Marine, dell’11 Settembre?
Secondo le parole di Obama: “Le spese militari dell’Iran non sono assolutamente paragonabili a quelle degli Stati Uniti. Se decidessero di porsi come una seria minaccia contro di noi, non avrebbero alcuna chance di vittoria. E noi dovremmo utilizzare questa nostra posizione di forza per essere abbastanza decisi ad andare avanti ed ascoltare. E questo non significa che noi siamo d’accordo con loro su ogni punto. Assolutamente no. Noi non dovremmo trovare un compromesso con loro su alcun punto. Ma, per lo meno dovremmo riconoscere che esistono aree di potenziale interesse comune, e ridurre quindi, almeno in parte, quella tensione che ci ha creato così tanti problemi in giro per il mondo”.
Non si può non cogliere le implicazioni di questo paragrafo. Lasciate che le elenchi:
– Manca la comprensione del fatto che l’Iran segue strategie create appositamente per eludere quel problema di disparità nella forza; strategie che comprendono terrorismo, guerriglia, attacchi non prevedibili, lunghe guerre di logoramento, utilizzo di surrogati, e così via.
– L’unico modo possibile di sfruttare la “posizione di forza” degli Stati Uniti per Obama consiste nell’ascoltare le loro proteste e lamentele, come se già non le conoscessimo abbastanza. In breve, l’unica cosa che puoi fare quando sei più forte, è diventare più debole. E’ presumibile che lo stesso valga quando sei tu la parte più debole.
– Come è possibile che sia totalmente ignaro del fatto che già si sono avuti diversi tentativi di dialogo? Dieci anni con l’OLP, ancor di più con Hezbollah da parte degli altri libanesi, quattro anni consecutivi di impegno dell’Europa con Teheran per la questione nucleare, molteplici delegazioni statunitensi in cerca del dialogo con i siriani, e così via. Si è forse tratto un qualche insegnamento da tutta questa esperienza?
– E cosa succederà in seguito, se il dialogo di Obama non dovesse funzionare? Quali carte avrebbe ancora da giocare? Quale prontezza per intraprendere una nuova via? Forse allora gli iraniani avranno già armi nucleari e altri vantaggi, tali da annullare quella “posizione di forza” tanto irresponsabilmente sprecata.
– Quali sono gli argomenti possibili da trattare per gli Stati Uniti nella ricerca di un compromesso con l’Iran? Diciamolo: consegnategli il Libano (oh, lo abbiamo già fatto); ignorate il suo sostegno al terrorismo; consegnategli l’Iraq; ritirate le forze americane dalla regione, accettando che disponga di armi nucleari. Cosa?
– Perché gli Stati Uniti dovrebbero cercare di ridurre le tensioni attraverso trattative, quando in realtà l’Iran è il primo a volere tali tensioni? C’è un’importante indicazione in questo: se gli USA facessero delle concessioni, potrebbe servire a procedere senza tensioni. Dal momento che l’Iran e gli altri Paesi conosco bene la visione del mondo di Obama, tutta carote e niente bastoni, gli faranno pagare a caro prezzo l’illusione di poter ottenere la pace e la tranquillità.
– Non c’è il minimo segnale da parte sua di voler considerare l’opzione dell’uso della forza per intimidire o sconfiggere l’Iran, o per allineare gli alleati. Se Obama riuscisse a comprendere, anche solo in minima parte, questi argomenti, finirebbe per falsificare il tutto con i suoi blah-blah sulla necessità che l’America trovi il giusto equilibrio tra severità e flessibilità, deterrenza e compromesso, mantenendo quella risolutezza necessaria ad ottenere il più possibile dalla controparte nelle negoziazioni. Un elemento cruciale nelle operazioni di ricerca e mantenimento della pace, e nelle varie trattative, sta nell’agire in modo deciso e forte per esercitare la propria influenza. Anche nelle sue risposte alle critiche ricevute, Obama si è semplicemente soffermato a parlare delle trattative, circa l’ipotesi che possano essere condizionate o meno, e su quale piano debbano essere condotte. Dimentica il fatto che un vero capo si occupa di ben altro, oltre alle trattative.
– Se questa è la strategia di Obama con l’Iran al momento privo di armi nucleari, quale sarebbe il suo atteggiamento nel gestire Teheran, che invece le possiede?
Non commettiamo errori, Obama sembra seguire la scia di Neville Chamberlain – dato che le sue affermazioni mostrano un ragionamento analogo. In molti potrebbero rabbrividire nell’ascoltare Obama: di certo ben diverso è un discorso di Churchill. Difensori, simpatizzanti e opinionisti vari continuano ad abbellire questo aspirante imperatore con abiti sontuosi. In realtà non ne ha alcuno.
Ad oggi, e ancor più se vincesse Obama, pende sul mondo la minaccia di un Iran che si mostra così aggressivo proprio perché sa di non dover affrontare le forze statunitensi. Teheran sa di poter finanziare il terrorismo direttamente contro le forze americane in Iraq, e anche contro Israele e Libano, dato che un attacco del genere non innescherà alcuna reazione da parte degli Stati Uniti.
Ancora, chi non vuole arrivare ad una guerra con l’Iran, dovrebbe essere il maggior sostenitore della necessità di parlare di sanzioni, di pressioni, di deterrenza, di formazione d’alleanze e supporto agli alleati; in poche parole, combattere l’Iran in modo indiretto, per evitare di doverlo affrontare in modo diretto. Tanto più che ora la Siria non si distaccherà dall’Iran; l’Iran non rinuncerà al suo programma nucleare; Hamas non sceglierà la moderazione; Hezbollah non cederà. E perché mai dovrebbero farlo, dal momento in cui non solo credono fortemente nelle loro ideologie, ma sentono anche la vittoria nelle loro mani? In ogni caso, contano molto sul successo di Obama alle elezioni per poterne trarre ancora maggiori vantaggi.
Sono molti i fattori positivi che si potrebbero citare a dimostrazione del perché l’Iran e i suoi alleati alla fine perderanno. Ma ciò potrà verificarsi in un modo più semplice, oppure in un modo più complicato, con tempi più lunghi. Ci sono troppi Chamberlain e non ci sono abbastanza Churchill, forse non ce ne sono affatto. Le cose per l’Occidente stanno andando male, molto male. Riconoscere questo dato di fatto è il punto di partenza per poter raddrizzare il corso degli eventi.
Traduzione Benedetta Mangano
Barry Rubin è direttore del Global Research in International Affairs (GLORIA) ed editore del Middle East Review of International Affairs (MERIA). I suoi libri più recenti sono “The Truth About Syria” (Palgrave-Macmillan) e “The Long War for Freedom: The Arab Struggle for Democracy in the Middle East” (Wiley).