La caduta di Assad in Siria darà vita a un Medioriente tutto nuovo

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La caduta di Assad in Siria darà vita a un Medioriente tutto nuovo

28 Luglio 2012

E’ solo questione di (poco) tempo. Mentre nelle città si combatte aspramente, il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che Bashar al Assad sarebbe pronto ad andarsene, dando inizio a una "nuova era" per la Siria. Ormai è chiaro a tutto che il regime alauita appartiene alla storia. “E’ giusto così” ha scritto,George Friedman , presidente di Stratfor.

Il supporto a alle monarchie assolute e alle dittature secolarizzate è un relitto ereditato dalla Guerra fredda. Uno strumento che è servito per decenni a controllare il Medio Oriente e le sue immense riserve di petrolio da cui dipende la ricchezza dell’Occidente, Stati Uniti in testa. Poi la primavera araba ha sconvolto i vecchi equilibri portando più libertà ma anche tante complessità nel mondo arabo.

La caduta del regime di Assad potrebbe essere un evento epocale, capace di cambiare il volto del Medio Oriente e rivoluzionare gli scenari globali. Il “regime change” in Siria potrebbe essere un big bang geopolitico. Un evento con conseguenze sul grande risiko che giocano, attorno al tavolo della politica mondiale, global player, potenze emergenti e attori regionali vogliosi di riprendersi un ruolo centrale. Potrebbero essere scritti interi volumi di scenari geopolitici dedicati alle conseguenze del dopo Assad.

Il primo volume dovrebbe essere dedicato alla descrizione del rischio che il Paese sprofondi in uno scenario di tipo libanese. Un Paese diviso tra fazioni manovrate da attori stranieri. Uno scenario che potrebbe ancora accontentare Russia e Cina. Se pur in maniera differente, Mosca e Pechino hanno reso meno convinto il loro supporto al regime di Damasco.

Tra i tanti motivi strategici che hanno spinto i due ex alleati comunisti a spalleggiare Assad c’era soprattutto la volontà di sostenere una potenza regionale ostile agli Stati Uniti, così da tenere gli americani impegnati in Medio Oriente. Se Washington resta impantanata nelle sabbie mobili del “Middle east”, avrà meno possibilità di contrastare l’influenza di russi e cinesi in Asia centrale ed Estremo Oriente.

Un secondo ipotetico volume dovrebbe essere dedicato poi all’Iran, alleato di ferro della Siria che senza Assad vedrebbe andare in frantumi la mezzaluna sciita (con il Libano), la leva con cui il regime dei ayatollah tenta ostinatamente di resuscitare la propria vocazione imperiale. Senza un alleato di ferro a Damasco, la Repubblica islamica iraniana rischia fortemente di dover rinunciare alla propria aspirazione di essere un interlocutore irrinunciabile nell’architettura del “Grande Medio Oriente”. 

Teheran sarebbe costretta a stare sulla difensiva e vedrebbe indebolirsi la propria capacità di proiettare la propria influenza oltre confine. L’Iran farebbe grande fatica ha mantenere la propria posizione di forza in Iraq, lasciando campo libero a una rampante Turchia, che porta avanti il suo progetto “neo-ottomano”.

Ma un’Iran costretto a guardarsi le spalle farebbe, soprattutto, il gioco dell’Arabia Saudita e delle altre petro-monarchie del Golfo. I sauditi (assieme all’attivissimo Qatar) hanno cercato di sfruttare e indirizzare il corso della primavera araba. Si sono mossi dietro le quinte, in Libia, Egitto e Siria per riaffermare la propria influenza sul mondo arabo e per mettere fine a un decennio che ha visto il fronte sciita (guidato dagli iraniani) avanzare in Libano e Iraq.

Insomma un gran caos che per essere tenuto in equilibrio ha bisogno della super potenza americana. Washington è chiamata ancora una volta fare da pivot del Medio Oriente. Considerata il numero di attori in gioco e il mosaico formato dai diversi interessi, Washington può riservarsi la possibilità di intervenire direttamente solo quando necessario e nel frattempo favorire un equilibrio di potere favorevole ai propri disegni.

Robert Kaplan, stratega ed esperto di politica internazionale da qualche mese passato nel team di Stratfor mette però in guardia l’America. Non è detto che i cambiamenti innescati dalla primavera araba siano per forza favorevoli alla superpotenza americana. I cambi di regime nel mondo arabo hanno provocato una maggiore complessità. Senza regimi autoritari e dittatori, gli Usa devono ora tenere conto dei sentimenti e delle legittime aspirazioni delle popolazioni mediorientali quando dovranno pensare a come orientare la struttura del potere politico nelle capitali arabe.