La Campania contro il ridimensionamento delle Province: altera il sistema senza troppi risparmi

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La Campania contro il ridimensionamento delle Province: altera il sistema senza troppi risparmi

03 Maggio 2012

Da tempo le Province sono sotto attacco, considerate alla stregua di enti inutili e parassitari da abolire senza indugio. Del resto, esse sono praticamente da sempre un ente discusso, per molti versi "morituro" ma comunque rimasto in vita: fin dalla nascita della Repubblica, quando la Commissione dei Settantacinque si espresse nel senso del non riconoscimento alla Provincia della natura di ente autonomo ed immediatamente l’Assemblea in sede plenaria modificò tale orientamento, esprimendosi nel senso del mantenimento dell’ente nel novero dei soggetti autonomi elencati in quello che sarebbe divenuto l’articolo 114 della Costituzione.

Oggi, tale ente è oggetto di un vero e proprio odio sociale. Basta pensare, del resto, alla descrizione delle Province che Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella fanno nel loro famoso libro La casta, dove ne parlano come di un serbatoio clientelare, atto solo a  produrre sprechi e inefficienze. I due autori, nel descrivere gli sprechi connessi alle Province, non usano mezzi termini. Parlano di "stipendi altissimi, assistenti personali, un mucchio di benefit, autoblu a volontà e magari con la targa della Protezione civile come quella dei due presidenti provinciali che possono così evitare di rispettare il codice stradale come i comuni mortali". E ancora, passano in rassegna gli stipendi spiegando che "il presidente della Provincia altoatesina prende ogni mese 23.685 euro, il suo vice 22.439, un assessore 21.192, il presidente dell’assemblea consiliare 18.699, il suo vice 15.582. E giù giù, a cascata, sono tutti contenti: un capo dipartimento trova in busta paga 111.701 euro l’anno, un capo ripartizione 80.944, un direttore di scuola professionale 69.114, il direttore sanitario della Asl di Bolzano 228.255, il direttore generale 180.288, un primario di media anzianità 189.908".

Comprensibilmente, questi e altri dati, inseriti in un forte contesto di sfiducia nei confronti delle istituzioni, anche e soprattutto per via della crisi economica, hanno suscitato una veemente ondata di indignazione nell’opinione pubblica. E si capisce dunque perché il governo Monti, perseguendo come prioritaria finalità quella di risanare il bilancio dello Stato, con il Decreto Legge n. 201/2011 convertito con legge n.214/2011, ha approntato una serie di misure volte essenzialmente a contenere la spesa pubblica: tra cui, appunto, quella che ridisegna l’assetto dell’ente provinciale all’interno dell’ordinamento italiano, intervenendo tanto sotto il profilo funzionale quanto sotto il profilo degli organi di governo.

È stabilito, infatti, che "spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze". Per quanto riguarda il governo della Provincia, poi, ci sono importanti novità. In primo luogo, viene abolita la Giunta provinciale. Inoltre, il Consiglio provinciale sarà composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia.  

Tali disposizioni, tuttavia, sono state impugnate dinnanzi alla Corte costituzionale da varie Regioni, tra cui la Regione Campania. Molte le eccezioni fatte valere dinnanzi alla Consulta, tra cui la considerazione, che fu a suo tempo articolata dal grande amministrativista Massimo Severo Giannini, per cui "le province, create per gli interessi del governo centrale, hanno finito per assumere una propria fisionomia, anche come gruppi territoriali sociali”. Per non  entrare nei dettagli tecnici non spiegheremo qui le eccezioni fatte valere dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto, importante giurista allievo di mostri sacri del diritto pubblico come Vezio Crisafulli e Aldo Maria Sandulli, e che difende anch’esso la Regione Campania. Si può dire, però, che tra i motivi di censura della legge in questione vi è quello che essa colpisce funzioni, organi e caratteristiche rappresentative delle Province, alterando completamente la fisionomia del sistema delle Autonomie locali. Inoltre, cosa da non sottovalutare, c’è chi sostiene che tale norma non si tradurrebbe in immediati e rilevanti risparmi di spesa, che verrebbe in qualche modo spostata verso il nuovo destinatario delle funzioni amministrative precedentemente provinciali. Ad un risparmio di spesa tutto sommato modesto (circa 65 milioni di euro) corrisponderebbe infatti una proliferazione di apparati amministrativi di livello regionale e sovracomunale che vanificherebbe il risultato. Anzi, forse finirebbe persino per peggiorare l’attuale situazione. Adesso spetta alla Corte costituzionale pronunciarsi. Riuscirà la Provincia a scampare per l’ennesima volta alla sua morte?