La Camusso non chiude la partita col governo e apre quella con Bersani
22 Marzo 2012
La ‘profezia’ della Camusso ha due destinatari: Mario Monti e Pierluigi Bersani. “La partita sull’articolo 18 non è chiusa”, tuona la leader del sindacato rosso che conferma un pacchetto di sedici ore di sciopero ed esce dalla mediazione unitaria con Cisl e Uil che, anzi, accusa di aver mandato a monte dicendo sì al governo. Ma è sul piano politico che la partita rischia per davvero di non essere chiusa. Ed è una partita tutta interna alla sinistra quella che siede in Parlamento e quella che in Parlamento si appresta (o vorrebbe) tornarci. Per carità, non mancano posizioni critiche neppure nel centrodestra, nel merito della riforma firmata Fornero, come ad esempio manifesta chiaramente Giuliano Cazzola, ma i guai maggiori sono tutti in casa democrat.
La mossa della Camusso serve a ricompattare il fronte interno del sindacato e ridare centralità alla Cgil rispetto a una Fiom dal passo ‘barricadero’ con Cremaschi lanciatissimo nella battaglia dura e pura a Monti. Ma è sul piano politico che quel no alla riforma apre un fronte nel Pd , sia tra le varie componenti (quelle più filomontiane come i lettiani, i veltroniani e gli ex Margherita, e quelle più conservatrici delle quali, in un certo senso, si è fatto portavoce Stefano Fassina, responsabile del dipartimento economia del partito), sia tra la segreteria di Largo del Nazareno e l’ala più radicale della sinistra.
Vendola, Di Pietro, ma anche Ferrero e Diliberto si sono affrettati a cavalcare la posizione della Cgil in realtà per aprirsi un varco nei consensi da erodere a Bersani&C. Una bella grana per Bersani che deve gestire contemporaneamente l’appoggio al governo Monti, le tensioni interne al suo partito e parare i colpi del ‘fuoco amico’ da sinistra. E c’è da ritenere che la stagione degli scioperi generali e delle piazze in cui torneranno a sventolare bandiere rosse, sarà mediaticamente ma soprattutto politicamente difficile da digerire per i democrat. Del resto, l’avvertimento di Cremaschi a Bersani è molto esplicito. Ieri su Tgcom 24 il leader Fiom ha mostrato un volantino con la scritta “licenziamoli” e i volti di Monti e dei leader delle forze di maggioranza, compreso quello del segretario Pd. Con una postilla: “Se il Pd si mette di traverso, siamo disposti a toglierlo dalla foto, altrimenti sono solo chiacchiere”.
Bersani ha provato ad alzare la voce con Monti rivendicando che sull’articolo 18 i patti non erano quelli che – nonostante la Camusso – entro sabato il governo vuole trasformare in una formula legislativa attraverso la quale portare in parlamento la riforma. Ma sa bene, che più di tanto a questo punto non può forzare e l’unica exit strategy sulla quale investirà (politicamente) sono le modifiche in Aula durante l’esame del provvedimento. Non è un caso che Franceschini ieri in Transatlantico abbia messo le mani avanti. Della serie: il governo non porti in Aula un decreto legge. E non è passato inosservato lo scambio acceso di opinioni con Enrico Letta che solo 48 prima aveva annunciato il sì del Pd alla riforma. Ma le scintille non sono mancate neppure tra lo stesso Letta e Massimo D’Alema: l’ex ministro degli Esteri ha richiamato all’ordine il vicesegretario del partito suggerendo “maggiore cautela nelle dichiarazioni” a maggior ragione su passaggi importanti come questo. Non solo, ma ha liquidato il testo sull’articolo 18 come “confuso e pericoloso”. Più chiaro di così.
Il messaggio a Monti è: il provvedimento va presentato al Parlamento sottoforma di legge delega. Chiaro il riferimento a correzioni e modifiche alle quali il Pd si sta preparando. Perché, chiosa D’Alema quasi sibillino: “Il governo ha fatto la sua parte e ci sono aspetti sicuramente positivi, come la parte relativa ai giovani e alla riduzione della precarietà, ma sovrano è il Parlamento nel nostro ordinamento”. Dai vertici alla base: il popolo web protesta su Facebook chiedendo che il partito dica no alla riforma.
C’è poi un altro aspetto che in questa partita si intreccia ed è abbastanza traversale per i partiti della maggioranza: l’imminente campagna elettorale per le amministrative. Se Bersani da questo punto di vista ha il problema maggiore da dover affrontare col suo elettorato, in maniera più soft ma altrettanto concreta, lo stesso affanno ce l’hanno pure Alfano e Casini nel dover spiegare ai cittadini il quid del sostegno a riforme così pesanti e impegnative come quella sulle pensioni e tra qualche settimana quella sul mercato del lavoro. Per questo tutti e tre i leader hanno interesse a fare quadrato attorno alla linea montiana seppure proponendo modifiche e correttivi per migliorarla, per poi ripartirsi equamente il ‘fardello’ da giustificare agli elettori.
Sul versante del centrodestra, il Pdl con Alfano invita Monti a non cedere di un solo millimetro sul terreno del lavoro e in particolare sull’articolo 18 sul quale “non si deve arretrare in Parlamento”. Perché la riforma non va annacquata e il numero uno di via Umiltà annuncia che il Pdl la difenderà, facendo intendere che sarebbe meglio approvarla celermente attraverso un decreto. Altro messaggio per Monti. Maurizio Sacconi invita a riflettere sulla portata di una riforma chiesta dall’Europa, sofferndosi su quell’ultimo miglio “il più faticoso, delle riforme del lavoro di questi anni”. Per l’ex ministro del Lavoro “il compromesso raggiunto tra il governo e i segretari di partito prima e nel dialogo sociale poi, se coerentemente difeso e attuato, può davvero condurre l’Italia in una nuova dimensione competitiva perchè la libera dai freni del suo Novecento ideologico e la porta a considerare la sicurezza dei lavoratori in termini di servizi alla loro occupabilità”. Insomma presente e futuro. Resta lo sguardo rivolto al passato di chi in ambienti della politica e della società pretenderebbe di esercitare un potere di veto. Altri tempi.