La canea moralistica e forcaiola contro il Parlamento e il silenzio di Fini e Napolitano

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La canea moralistica e forcaiola contro il Parlamento e il silenzio di Fini e Napolitano

13 Gennaio 2012

La canea seguita al voto della Camera su Nicola Cosentino da il segno della barbarie giuridica e civile che ha preso possesso del paese. Non c’è giornale – anche tra i più blasonati – che non abbia titolato la notizia con una qualche variazione del concetto: “Cosentino salvato dalla Camera”. La sensazione diffusa sulle prime pagine di tutti i quotidiani è che l’ex sottosegretario del Pdl, l’abbia fatta franca, che il suo appartenere all’odiata casta dei parlamentari lo abbia salvato da una giusta punizione per i suoi reati e che tutto si sia consumato in spregio alla sete di onestà e pulizia che anima la società civile italiana.
Niente di tutto questo è ovviamente vero. Cosentino non è stato salvato. La Camera dei deputati si è limitata a respingere la richiesta della procura di Napoli che lo avrebbe voluto in carcere in attesa del processo. La Camera ha valutato a maggioranza che per Cosentino non sussistesse il rischio di fuga: obiettivamente se avesse voluto fuggire all’estero avrebbe avuto tutto il tempo per farlo. Soprattutto dopo la prima decisione della Lega di votare a favore della richiesta di arresto in Commissione, quando dunque questo esito sembrava del tutto probabile. Anche il rischio di inquinamento delle prove deve essere apparso flebile ai parlamentari, visto che queste si riferiscono a fatti accaduti in un passato lontano e risultano – anche a detta della Procura – già tutte raccolte e sufficienti ad intentare il processo. Infine è apparso improbabile che Cosentino – sempre che lo sia stato in passato –  possa continuare, da indagato, ad essere “il referente nazionale del clan dei casalesi”.

Cosentino dunque andrà incontro al suo processo e ai suoi giudici, ed eventualmente alla sua condanna,  senza le manette ai polsi e senza soggiornare in galera nell’attesa e tra un’udienza e l’altra. Questa condizione che dovrebbe essere la norma nel procedimento penale (fatte salve le condizioni citate sopra) è invece divenuta l’eccezione in Italia, dove ormai ci pare giusta retribuzione tenere in carcere i presunti innocenti in attesa del processo. Nelle patrie galere soggiornano il 42 per cento di detenuti in attesa di giudizio, contro il una media del 20 per cento nel resto d’Europa.
Per questo è stupefacente e spaventosa l’ondata di rabbia e di sdegno che dai politici e dai giornali si è riversata contro la decisione sovrana della Camera. E può essere spiegata solo con la voglia di accontentare lettori ed elettori che sono stati nel tempo resi gonfi di odio e affamati di vendetta contro la politica, tutta trasformata in casta. Cosentino era l’osso da spolpare che la canea dei nostri moralisti aveva già pregustato e che gli è stato sottratto all’ultimo momento.  La personale vicenda dell’imputato, la sua storia, le carte che lo riguardano, le prove raccolte, non hanno mai contato nulla. L’importante era che il popolo vedesse una testa coronata rotolare.
Si spiegano così le reazioni inconsulte di quei politici che cavalcano l’onda dell’antipolitica. Maroni che dice, mesto e deluso: “abbiamo mandato un segnale sbagliato ai nostri elettori”. Come se la libertà personale di un deputato (ma lo stesso vale per qualsiasi cittadino)  possa essere spesa per calcoli elettorali. O Casini che parla “moderatamente” di “eutanasia del Parlamento”. Quando semmai sarebbe stato così se la Camera si fosse piegata a ratificare le richieste dei magistrati per mera opportunità politica.  O Veltroni che accusa il Parlamento di aver dato “uno schiaffo ai magistrati”, ma dove? Perché? L’autorizzazione all’arresto per un parlamentare è prevista da quella  Costituzione che Veltroni e i suoi amano sventolare in piazza. Per quale motivo respingere quella richiesta, secondo una dinamica del tutto fisiologica nel rapporto tra poteri dello Stato, dovrebbe equivalere a “uno schiaffo ai magistrati”. E se l’avessero accettata, sarebbe stato un “bacio”? E sarebbe questo da preferire in ogni caso?
Ma il peggio l’hanno combinato i giornali e molti giornalisti. Furio Colombo sul Fatto era una furia scapigliata: “La Camera ha rifiutato l’arresto e vuole libero il suo camorrista”. La lezione americana è servita poco a Furio se Cosentino è già camorrista senza processo e senza sentenza. E ancora, parlando di coloro che hanno votato contro l’arresto, “come quando le donne di Napoli si precipitano in strada a strappare i loro uomini alla polizia che li sta ammanettando”.   Colombo sogna poliziotti che di tanto in tanto irrompano in aula e ammanettino i deputati che non gli garbano. Ma è ovvio che sia così se il titolo del Fatto è “Camera, la cosca salva Cosentino”, dove l’equazione Parlamento = Camorra è stabilita una volta e per sempre. Lo stesso vale per l’Unità che parla di “Lega dei Casalesi”: tutti mafiosi dunque i lumbard per aver votato secondo coscienza e non per far contento Maroni.
Vergognose  e inspiegabili anche le dichiarazioni di Michele Santoro: “Il Parlamento ha delegittimato la Magistratura”, come se fosse questo il compito di Camera e Senato, legittimare o meno i giudici; e come se fosse questo in ballo nel giudizio sull’arresto di Cosentino: non il suo diritto di arrivare libero al processo, ma la soddisfazione delle ambizioni della Procura.
Viene da chiedersi che fine abbia fatto il presidente della Camera, il quale vede l’Istituzione da lui presieduta fatta passare per un covo di mafiosi, una banda di malavitosi che andrebbe sciolta a colpi di arresti e carcerazioni. Viene da chiedersi se una parola dal più alto scranno di Montecitorio non dovrebbe essere spesa a tutela di tutti i deputati, sia quelli che hanno votato contro che quelli che hanno votato a favore. Poi ci si ricorda che non c’è più un presidente della Camera ma solo il leader del Fli che ha fervorosamente votato per l’arresto di Cosentino. Bisognerebbe però ratificarlo una volta per tutte: se Fini pensa si presiedere una Camera di mascalzoni che si proteggono a vicenda, che se ne distanzi con delle sane dimissioni.
Ancora più sorprendente è il silenzio del Presidente della Repubblica, che è stato rapidissimo nel reagire alle accuse che lo volevano artefice della sentenza della Corte contro i referendum, ma non ha alzato un dito per difendere quelle istituzioni che tanto gli stanno a cuore. Perché se è invece è convinto che il Parlamento sia nient’altro che una cosca mafiosa allora si spiega male tanta fatica per tenerlo in piedi.