
“La Carta non si scrive con i moralismi. Una tutela visti i poteri e’ necessaria”

24 Giugno 2014
"L’immunità non è un dogma, ma il portato del bilanciamento di pesi e contrappesi in un nuovo quadro costituzionale. Insomma, se vogliamo che i senatori possano cambiare la Carta ed eleggere organi costituzionali, l’immunità è necessaria": per Gaetano Quagliariello, coordinatore di Ncd e componente della commissione Affari costituzionali del Senato, la questione dell’immunità va valutata da un punto di vista strettamente giuridico. Bandendo qualsiasi moralismo.
Intanto, sull’immunità è già scontro.
"Parliamoci chiaro, noi stiamo facendo una riforma della Costituzione: è necessario mettere da parte qualsiasi tipo di moralismo e demagogia. Il ragionamento deve prescindere dalle persone e concentrarsi sulla suddivisione dei poteri e l’attribuzione delle funzioni. I relatori hanno seguito una logica giusta: se assegni al Senato funzioni come la modifica della Costituzione, ne discende che devi attribuirgli anche l’immunità a garanzia dell’equilibrio dei poteri e dell’indipendenza dell’assemblea. Non è una questione di par condicio rispetto alla Camera, né un privilegio dei senatori. Né è pensabile di assegnare la materia costituzionale a una sola Camera nella quale col 37 per cento dei voti hai il 55 per cento dei seggi".
Ma Ncd è a favore o contro?
"In questa configurazione del Senato, per noi l’immunità deve esserci. Non è un dogma, ma deriva dal sistema di pesi e contrappesi che stiamo determinando, garantendo che i territori siano rappresentati nel procedimento legislativo nazionale, senza per questo disperdere un equilibrio complessivo di sistema".
Calderoli, provocatoriamente, propone di cancellare anche l’immunità per i deputati.
"Se è una provocazione, vada pure. Ma, ripeto, il problema non è la par condicio. I padri costituenti avevano trovato un equilibrio tra potere legislativo e potere giudiziario, garantendo il massimo dell’autonomia alla magistratura, bilanciata da un’immunità a tutela del potere politico. Quell’immunità è stata utilizzata male, ma la modifica dell’articolo 68 nei primi anni Novanta ha già intaccato l’equilibrio e i danni sono stati evidenti. Meglio non fare altri guai".
Il Pd, però, dice che il tema non è dirimente.
"Mi rendo conto che il tema è impopolare, e che tutte le forze in campo temono di pagare un prezzo politico alto. Ma qui non stiamo parlando dei pur importanti 80 euro in più in busta paga. Ripeto: stiamo cambiando la Costituzione. Servono scelte coraggiose. Nell’epoca dei tweet valgono le impressioni, ma la rappresentanza si fonda sulla sedimentazione delle idee. E soprattutto quando si tratta della Costituzione, bisogna avere il coraggio del rigore, anche quando ciò è difficile. L’errore commesso nel 2001 col Titolo V dovrebbe aver insegnato qualcosa, soprattutto alla sinistra".
Ma non è che dietro l’immunità si celano altri nodi da sciogliere?
"Siamo riusciti a dare corpo alla riforma con il contributo di tutti. Certo, a mio avviso, se l’elezione dei senatori fosse collegata in modo più diretto con la sovranità popolare, sarebbe meglio. Di certo, con i subemendamenti dovremo pulire i testi da qualsiasi ambiguità. L’obiettivo è ridurre al minimo la litigiosità tra Stato e Regioni, per ottenere certezza del diritto. E, di conseguenza, un vantaggio diretto per l’economia".
Quali sono le parti da definire meglio?
"E’ indispensabile che non ci sia alcun equivoco sulla materia concorrente e che le Regioni sappiano con esattezza su che cosa possono legiferare. Come pure che sia definito in modo chiaro il principio che introduce costi e fabbisogni standard. Non ci devono poi essere dubbi sulla clausola che stabilisce la supremazia della competenza statale, in presenza di un interesse nazionale. Soltanto così si mette a posto il federalismo. Insomma, decidiamo se continuare con spirito costituente, o deviare sulla sloganistica della lotta politica. In quest’ultimo caso, meglio dedicarsi ad altro".
(Tratto da Il Messaggero, intervista di Sonia Oranges)