La Chiesa a Cuba per aiutare la transizione

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La Chiesa a Cuba per aiutare la transizione

28 Febbraio 2008

La Chiesa offre al regime cubano una mano nella transizione,
chiede però maggiore libertà per poterlo fare. E’ questo il principale
significato “politico” della visita pastorale del cardinale Bertone a Cuba per
commemorare il decimo anniversario dello storico viaggio di Giovanni Paolo II.

Che il regime cubano debba pensare a dei cambiamenti è
evidente a tutti. I cubani non possono vendere l’auto o la casa, non possono
viaggiare all’estero, non possono andare in albergo, devono adoperare una
moneta di serie B, perché il peso di
serie A è riservato ai turisti. Con ogni probabilità saranno queste
restrizioni, dal piccolo significato politico ma dal grande impatto sulla
quotidianità, a mettere sempre più in crisi il sistema. Per questo il cardinale
Bertone ha detto ai giornalisti di aver chiesto al nuovo leader cubano Raoul
Castro, insediatosi proprio durante la sua presenza a Cuba, di attuare delle
“aperture”. L’espressione era presa da un discorso di Giovanni Paolo II di 10
anni fa, quando aveva detto: “Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche
possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba”. Il Cardinale Bertone ha
ripetuto lo stesso invito: chiedendo apertura%2C offrendo apertura e,
soprattutto, garantendo l’opera di accompagnamento della Chiesa cubana.

Sul piano dell’offerta il Cardinale ha denunciato l’embargo
economico contro Cuba, che ha considerato ingiusto e dannoso per il popolo. E’
un atteggiamento costante della diplomazia vaticana. Giovanni Paolo II aveva
condannato anche l’embargo all’Iraq, sostenendo che questa misura non colpisce
i governi al potere ma la popolazione, anche la più indifesa. Sul piano della
richiesta di apertura, il cardinale ha chiesto libertà religiosa (la chiesa “desidera
ampliare senza limiti il suo raggio d’azione” ) e libertà di educazione. Queste
richieste sono state rivendicate sulla base di due ragionamenti, uno storico –
quanto il cristianesimo ha fatto di bene per Cuba a partire dalla fondazione
della nazione ad opera di Varela e Martì entrambi cattolici e uno anche
beatificato – e uno di buon senso – senza la libertà la chiesa non può dare il
suo contributo al bene della nazione specialmente in questo difficile momento.

“Il cammino sarà difficile e richiederà lo sforzo
intelligente di tutti” aveva scritto Fidel Castro il 18 febbraio scorso nella
sua lettera di addio. La Chiesa è pronta a fare la sua parte in questo sforzo
intelligente, per questo ha bisogno di poter essere se stessa. Finché non si
possono costruire nuove chiese, mentre nella diocesi di Guantanamo, istituita
anch’essa quando arrivò papa Wojtyla, le comunità religiose sono passare in 10
anni da 19 a più di duecento, mentre i fedeli devono riunirsi nelle case e con
mezzi di fortuna, è difficile dare il proprio contributo, che secondo il
cardinale è soprattutto “di pacificazione”.

A più riprese e in più occasioni Bertone ha usato il termine
“pacificazione” e ha insistito sul perdono. Sono temi evangelici, che però in
questo momento di passaggio, ove vendette e rese dei conti, sono senz’altro in
agguato, assumono anche un valore sociale e politico: “La menzogna,
l’ingiustizia, l’oppressione e la violenza possono essere sradicate con la
forza del perdono e della solidarietà”. Un appello pastorale, che però si
adatta molto bene alla situazione cubana.

La linea della chiesa nei confronti dei regimi difficili è
ormai chiara. In una specie di nuovo “ultramontanismo” la chiesa mira
direttamente ai popoli ed è pronta a dare il proprio aiuto anche ai governi se
questi le permettono di arrivare prima e in profondità ai popoli. Il bene della
chiesa cattolica e il bene della nazione così finiscono per coincidere, la
libertà religiosa è strumento per la libertà civile e politica. In fondo è lo
stesso concetto espresso dal papa nella “Lettera ai cinesi”.