La Chiesa non ci sta e si ribella alla guerra dei crocefissi

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La Chiesa non ci sta e si ribella alla guerra dei crocefissi

25 Novembre 2008

Nella cittadina spagnola di Valladolid un giudice ha riaperto le polemiche sui crocefissi nelle aule delle scuole. La vicenda si trascina già da più di tre anni quando alcuni genitori del centro educativo Macías Picavea portarono la controversia nelle aule dei tribunali. Lo scopo: continuare la battaglia contro il consiglio d’istituto della scuola e ottenere la rimozione dei simboli religiosi. E alla fine, il tribunale del contenzioso amministrativo n.2 di Valladolid gli ha dato ragione ignorando la volontà della maggioranza dei genitori del centro che il crocefisso, invece, lo volevano.

La battaglia ideologica della “Associazione culturale per la scuola laica” è iniziata nel maggio 2005. La direzione scolastica aveva deciso che le immagini religiose dovevano rimanere esposte perché rappresentavano un “simbolo culturale”. Non contenta della decisione, l’associazione ha chiesto l’intervento delle amministrazioni locali alzando un polverone su una questione che “ledeva i principi costituzionali” e “discriminava gli alunni di religione diversa da quella cristiana”. Ma le istituzioni non si pronunciarono e preferirono che a scegliere fosse il consiglio d’istituto e i genitori del centro educativo. Ed ecco che lo scorso marzo viene deciso a maggioranza il mantenimento dei crocefissi.

Qualche giorno fa la notizia: il giudice del tribunale del contenzioso amministrativo ignora la scelta della scuola e, con un provvedimento senza precedenti, entra nel merito della questione. Il magistrato, infatti, ha ritenuto che il mantenimento dei simboli religiosi nel centro educativo in questione viola i diritti fondamentali di laicità consacrati dalla Costituzione. Così, ricordando che la legge suprema “proibisce allo Stato di arrogarsi il potere concorrente – accanto a quello dei cittadini – di prendere decisioni di segno religioso”, il tribunale ha ordinato al centro educativo di togliere i crocefissi. Con questa decisione, però, il giudice amministrativo si è addossato tale competenza. Peccato che sia stato a scapito della volontà dei genitori degli alunni, dei professori e della direzione.

Ecco la motivazione del giudice: “La formazione religiosa condiziona la condotta dei giovani dentro una società che aspira alla tolleranza delle altre opinioni e degli ideali che non coincidono con i propri”. E continua spiegando che “nella fase di formazione della personalità dei giovani l’insegnamento influisce decisamente sul loro futuro comportamento nei confronti delle credenze e delle inclinazioni”. Nonostante il tribunale abbia riconosciuto che la presenza dei simboli non possa essere considerata insegnamento della religione cattolica né atto di proselitismo, la sentenza considera che “la permanenza di questi oggetti rende vulnerabili i diritti fondamentali”.

Ma (per fortuna) il dibattito è ancora aperto. In un paese dove esiste un’ampia autonomia regionale, la sentenza rischia di aprire pericolosi contenziosi. In primo luogo, per la questione sulla diversità di trattamento a livello regionale. Mentre l’anno scorso, a Palencia, il consiglio di una scuola pubblica riuscì a riportare i simboli cristiani nelle aule dopo la decisione unilaterale del corpo insegnante di ritirarli, a Jaen (in Andalucía), per evitare i tribunali, il Consiglio regionale ha deciso di emanare un’ordinanza per rimuovere i crocefissi dalle pareti di una scuola. Le diverse attuazioni hanno causato ancora più confusione nell’affrontare la questione.

Ma non è tutto. La sentenza di Valladolid rappresenta i primi sintomi dello sconfinamento politico sulla materia religiosa. José Luis Requero, magistrato dell’Audiencia Nacional (massima istanza della giustizia spagnola), ha mostrato le sue perplessità: “Mi domando fino a che punto conviene che la Spagna si spogli della sua identità e degli aspetti della sua cultura. Caratteri che le hanno dato senso e la caratterizzano come nazione”.  In Spagna sono ancora fresche le polemiche dello scorso dicembre quando la direzione di una scuola di Saragozza decise di “sospendere” le feste di Natale. A Málaga, invece, la direttrice di un Istituto ordinò di buttare nella spazzatura un presepe fatto durante le lezioni di Religione.

In una situazione confusa come questa, poi, l’intervento del governo per mettere ordine potrebbe essere ancora più disastroso. E’ risaputo che il governo Zapatero da tempo non ha buoni rapporti con la Chiesa: il matrimonio tra persone omosessuali e il cosiddetto “matrimonio express” sono esempi della rottura in atto. A peggiorare la situazione c’è stato, nei giorni scorsi, il rifiuto della camera dei deputati di porre nell’aula una targa a ricordo di una suora. Sono state decisioni che hanno inasprito ancora di più il rapporto con la Chiesa e hanno colpito la componente cattolica della società spagnola. Secondo il cardinale di Toledo Antonio Cañizares si tratta di “fatti in cui si denota una cristofobia che, in definitiva, è odio verso se stessi”.

Una posizione laicista come quella adottata dal tribunale di Valladolid costituisce infine un colpo alla libertà religiosa in Spagna. La rimozione del crocefisso dalle aule, ha detto l’arcivescovo di Sevilla Carlos Amigo “non aiuta la convivenza perché le misure drastiche non educano le persone”. Per il cardinale,  “l’importante è che si educhino i bambini e le bambine a rispettare tutti i simboli religiosi di qualsiasi religione”.  E dopo la distruzione del sacramento del matrimonio, i cattolici si domandano ora fino a che punto soffierà il vento anticristiano in Spagna.