La Chiesa non si rivolge agli elettori ma alla coscienza di uomini e donne
25 Marzo 2010
di Dolasilla
Il cardinale Angelo Bagnasco non usa mai pronunciare le sue prolusioni nella veste di presidente della Conferenza episcopale italiana senza averne prima informato il Papa. Non che egli incontri il Pontefice, in genere due o tre giorni prima dell’evento, per sottoporgli passivamente il testo. In genere, da quel che è dato sapere, lo illustra nelle sue linee generali prima di lasciarlo alla meditazione del Pontefice. Detta terra terra per noi laici, il Pontefice è, attraverso il cardinale Bagnasco, la guida dei vescovi italiani come lo è dei vescovi di tutto il mondo.
Che cosa ha dunque suscitato certe reazioni di giubilo fuori luogo non meno di qualche imbarazzato silenzio dopo aver letto la prolusione di Bagnasco? La prolusione del cardinale non ha riferito nessuna novità nella dottrina della Chiesa. Bagnasco non si è rivolto agli elettori, come frettolosamente si afferma, ma ha parlato alla coscienza di uomini e donne che domenica 28 marzo diventano elettori e sono chiamati a scegliere i governi nelle loro Regioni.
A loro il cardinale si è rivolto con un pro-memoria che ricorda i valori costitutivi e fondanti per ogni coscienza cattolica: la difesa della vita e della sua sacralità, dal suo concepimento fino all’ultimo istante; la tutela della famiglia e la sua libertà di scegliere la scuola e il modello educativo per i propri figli; il riconoscimento degli ospedali fondati e gestiti da opere religiose; il dovere della solidarietà sociale per gli ultimi della terra e il loro diritto ad essere accolti nel rispetto di diritti umani elementari.
Dove è la pietra dello scandalo? Gli osservatori ovviamente puntano l’attenzione sul timing scelto dal presidente della Cei: richiamare le coscienze cristiane a un soffio dall’apertura delle urne equivale a suggerire un’indicazione di voto. In particolar modo nel Lazio, dove la candidata del centrosinistra Emma Bonino esibisce una biografia politica e civile all’insegna non solo del più schietto anticlericalismo (che, trattandosi di un atteggiamento quanto mai antiquato, si risolverebbe in un boomerang), ma soprattutto porta sulle spalle una lunga stagione di battaglie per i diritti civili dell’individuo e un po’ meno per la persona umana.
Si entra così su un terreno sdrucciolevole perché l’alfabeto della fede e quello della politica finiscono per indicare cose diverse pur usando lo stesso dizionario, oppure indicano la stessa cosa ma con termini diversi. Nell’antropologia cristiana non ci sono spazi per ricomprendere le categorie ideologiche della politica: l’ambientalismo non esiste, perché la Chiesa si preoccupa dell’Ambiente, così come non esiste l’ecologismo bensì l’ecologia. Nella fede cattolica non esiste un valore assoluto che non coincida con Dio e con la sua proiezione terrena, l’uomo. La centralità dell’uomo è il confine invalicabile per un cattolico.
La vita è dunque un bene prezioso e indisponibile. La sua qualità, sicuramente importante, coincide anche con la quantità delle vite da tutelare. Se la logica della politica prevede la possibilità di una vita che può finire per salvarne un’altra o renderla migliore, nella fede cattolica quella possibilità coincide con un supremo atto di egoismo. Si tratti di aborto o di cellule staminali, del rifiuto dell’altro e del diverso o dell’egoismo sociale del più ricco verso il povero, la fede non accetta né mai potrà accettare la visione "proprietaria" della vita secondo una logica mercatista.
E’ la contestazione di fondo mossa alla cultura laica da un laico e un agnostico come Tvetan Todorov quando alla radice del grande male che ha divorato il Novecento indica la sopraffazione della scienza sulla morale. La verità scientifica, con l’ineluttabilità della sua evidenza, ha finito progressivamente per sostituirsi al giudizio morale sulla base del postulato che essendo una cosa vera "è perciò stesso anche giusta". Da questa equazione, ammonisce Todorov, ha preso ad ardere la fornace dell’odio contro l’uomo in Europa, dall’Atlantico agli Urali, per tutto il Novecento.
La tentazione di strumentalizzare le parole del cardinale Bagnasco è forte, in ogni parte dello schieramento politico. Ma sarebbe un errore imperdonabile arruolare o ridurre il monito dei vescovi alle convenienze di uno schieramento politico. Lo priverebbe della sua forza e della sua efficacia, con danno più che probabile per chi pensa di esserne il beneficiario. Alla prolusione del capo dei vescovi la politica può replicare in un solo modo: testimoniando, nei fatti e negli atti, di aderire a quei valori e di saperli tradurre laicamente nella prosa quotidiana.