La Cina è stata chiara: in Italia solo investimenti industriali e infrastrutture
15 Settembre 2011
Comunque vada a finire la crisi del debito europeo e quella del debito italiano, alla fine la Cina avrà aumentato considerevolmente la propria presenza in Italia. Eh sì, perchè se un merito ha avuto questa crisi ancora in corso, è stato quello non solo di aver reso più trasparente il portafoglio di titoli di debito europeo detenuti da Pechino, ma anche e soprattutto aver reso più intellegibili le intenzioni della Cina. Le voci rincorsesi nei giorni scorsi sulla possibilità che la Cina corresse in aiuto dell’Italia, dopo aver aiutato Grecia e Portogallo, con l’acquisto di significativi pacchetti di debito pubblico italiano è caduta (ahinoi o per fortuna) nel vuoto. La Cina detiene già, a quanto afferma il Financial Times, il 4% del debito italiano. Se la domanda era “la Cina ci salva?”, la risposta è stata semplicemente “no”. Ce la dobbiamo cavare da soli, debortolianamente per intenderci.
In questi giorni turbolenti (fatti di manovre parlamentari, di ‘sbarchi asiatici’ e di speculazione) non è mancato – ed è proprio il caso di dirlo senza facili ironie – anche un vero e proprio “giallo cinese”. Le visite pechinesi di Romano Prodi al vice-presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping e al vice-premier, Li Keqiang, hanno destato infatti un certo sospetto e un mucchio di domande, proprio per la concomitanza con gli incontri sul debito. Ad accoglierlo sono stati infatti i due leader della Cina di domani. Il prossimo anno si riunirà il Congresso Popolare Nazionale del partito comunista cinese durante il quale verranno eletti i successori del presidente Hu Jintao e del premier Wen Jiabao. Jinping e Keqiang sono ben posizionati per la successione degli attuali vertici cinesi.
Ma a Pechino, Romano Prodi ha anche incontrato Gao Jiang, il presidente della China Development Bank (CDB), un incontro pechinese che ha fatto il paio con l’arrivo in Italia e la visita romana di Lou Jiwei, presidente della China Investment Corporation (CIC), il de facto fondo sovrano cinese che – come la CDB – è controllata dal governo. Romano Prodi, appena rimesso piede in Italia, si è schernito sulle speculazioni italiane su vero obiettivo del suo viaggio: “I cinesi sanno che se dico qualcosa io, certamente il mio governo fa diversamente. Tremonti e Berlusconi non mi chiederanno di mediare con la Cina, ma io sono sempre al servizio del mio Paese”. L’ex-premier italiano ha però ‘confessato’ di aver affrontato il nodo euro con i due alti dirigenti cinesi, ma ha affermato di non aver mai toccato il nodo del debito italiano.
Se i cinesi hanno cordialmente ‘passato’ su un aumento della loro quota di debito italiano, la Cina ha dimostrato di avere invece un profondo interesse per lo sviluppo con l’Italia di partnership in materia industriale e infratrutturale. Il Sole24Ore di due giorni fa riportava come i fondi d’investimento cinesi abbiano a più riprese dimostrato profondo interesse per investimenti in opere come il ponte di Messina, la piattaforma logistica del Nord Adriatico (tanto cara, secondo il quotidiano di via Monterosa a Milano, al ministro Franco Frattini e un po’ meno a Unicredit che vorrebbe sganciarsi dal progetto) o l’ampliazione dei porti di Augusta e Pozzallo. Questi ultimi due progetti sarebbero in procinto di ricevere dalla CIC un assaggio da 90 milioni di euro.
Un interrogativo resta intatto nonostante tutto però: un aumento del peso cinese in Europa e in Italia – sotto forma di detenzione di titoli di debito in crisi, d’investimenti in infrastrutture o di M&A tra società europee e cinesi – è di per sé auspicabile? E’ un buon affare per la vecchia Europa? Si tratta di una domanda che deve essere posta in fretta e che deve trovare una risposta altrettanto repentina. Un questito che nasce indubbiamente dalla mancanza di trasparenza politica da parte del regime cinese, che non lascia mai prevedere le proprie intenzioni, impedendoci di capire che genere di superpotenza sarà la Cina di domani. A sentire Romano Prodi, i cinesi si auspicano di trovare nell’Europa "un interlocutore per non finire schiacciata nel G2 con gli Stati Uniti d’America". E’ probabile che l’Europa possa ritagliarsi un ruolo fuori dal dialogo stretto tra Pechino e Washington. Perché no?
Il punto è capire se la Cina sia intenzionata a una partnership con l’Europa oppure voglia trasformarla in una sua zona d’influenza. In quest’ultimo caso, saremmo testimoni del perfetto contrappasso inflitto all’Europa per l’onta caduta sulla Cina tra il 1848 e il 1949, il ‘secolo dell’umiliazione’, quando gli europei comandavano sui porti cinesi (e non solo) e la Cina perdeva senza capacitarsene. Adesso l’Europa chiede loro aiuto. I cinesi l’offriranno, gli europei l’accetteranno (com’è giusto che sia quando si è in necessità) ma sarà senza dubbio, e irrimediabilmente, un abbraccio fatale.