La Cina è vicina? No è già davanti a noi
15 Febbraio 2010
Già prima della disastrosa conferenza del Clima di Copenhagen era apparso evidente a tutti che la Cina stava assumendo un ruolo sempre più importante nel contesto mondiale, e non solo su temi quali il problema dei cambiamenti climatici. Un messaggio ancora più evidente lo si era avuto in occasione del deludente viaggio del Presidente Obama in quel paese: discorsi molti, sorrisi ancora più numerosi, ma posizioni ferme da parte dei cinesi su qualunque tema non fossero d’accordo e, in più, poca o scarsa disponibilità a negoziare posizioni più morbide nei confronti del loro interlocutore.
Geneticamente abituati a muoversi con lentezza, ma senza deflettere da quelli che sono i loro obiettivi, i cinesi stanno grattando, giorno dopo giorno, posizioni al mondo occidentale lasciandosi dietro anche gli altri paesi cosiddetti emergenti come India e Brasile.
Già oggi seconda potenza economica mondiale, con l’invidiabile corollario di essere anche i maggiori creditori del debito statale USA, i cinesi si stanno avviando verso una ulteriore leadership. Già rappresentano il primo mercato mondiale per la vendita di auto e di molti altri prodotti oscurando gli sceicchi arabi che per anni rappresentavano ai nostri occhi sogni impossibili e miti da fotoromanzo. Più prosaicamente, e con un serio approccio da formiche laboriose, i figli del sol di levante stanno letteralmente dilagando nel mondo scientifico in termini di quantità e qualità: in poco meno di trenta anni sono passati da un rango di paese con basse capacità scientifiche e tecnologiche a secondo produttore mondiale di “conoscenza scientifica”. Il tutto, se si mantiene questo andamento e non aumenta ancora il passo, arrivando a superare gli Stati Uniti entro il 2020.
Tre sono gli elementi qualificanti che stanno determinando e sostengono questa “lunga marcia” vittoriosa delle strutture formative e degli scienziati cinesi: in primis la politica del governo che ha scelto di favorire lo sviluppo garantendo sostanziali e regolari investimenti a favore di tutti i livelli del sistema formativo che, va detto, è anche giustamente selettivo. Il secondo elemento è rappresentato dalla capacità di trasferire, in maniera efficace e rapida, i risultati delle ricerche di base verso applicazioni che si possono trasformare in beni e servizi. Già oggi Pechino ha raggiunto una supremazia consolidata nel campo della scienza dei materiali e della chimica. Terzo, e non meno importante elemento qualificante, è la “migrazione” degli studenti universitari cinesi verso tutte le migliori Università del mondo occidentale per acquisire competenze e know-how da riportare poi in patria.
Su queste evidenze va fatta una seria riflessione per capire quale è il quadro mondiale complessivo, quale il posizionamento dell’Europa e, soprattutto, se e quale ruolo può giocare l’Italia in qualche settore. E’ interessante valutare il posizionameto di tre paesi chiave, Russia, India e Brasile, gli altri partners del BRIC, il nuovo club di potenze mondiali che giocano un ruolo di players a tutto campo ormai in molti settori.
Con la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino, i sommovimenti epocali che hanno fatto crollare i frutti della Rivoluzione d’Ottobre hanno anche determinato un serio deterioramento delle infrastrutture principali del paese e, di riflesso, della sua capacità tecnologica. Qualità e quantità del “prodotto conoscenza” sono pesantemente venute meno rallentando lo sviluppo del paese nonostante gli sforzi degli attuali governanti che tentano, non sempre con risultati efficaci, di ricreare la grandeur degli anni 60-80 in cui il paese era la seconda potenza mondiale sempre in competizione con gli USA.
L’India anche, dopo il boom dell’informatica, soprattutto nei servizi a basso costo, sta anch’essa rallentando; un indice significativo per tutti: se negli anni 60’ e 70’ erano indiani la maggioranza degli studenti stranieri che frequentavano le Università occidentali, oggi sono presenti in numero significativamente ridotto sia in termini assoluti che percentuale rispetto a quelli cinesi.
Brasilia sta velocemente facendosi avanti a grandi passi privilegiando alcuni settori di avanguardia e rafforzando altri nei quali era già ben qualificata come, per esempio, il settore aerospaziale, uno dei leading items che qualificano il livello e la qualità tecnologica di un paese.
In questo contesto l’Europa globalmente arranca pur se in alcuni settori ancora mantiene una posizione di indiscussa leadership difficile da scalfire. Due sono gli esempi più illuminanti: la Fisica delle Alte Energie, con il CERN a Ginevra, e le tecnologie aerospaziali con l’ESA, l’Ente Spaziale Europeo le cui sedi sono distribuite in vari siti europei.
Il CERN rappresenta un esempio ineguagliato di altissime vette scientifiche, di livelli di punta di alta tecnologia e, elemento qualificante, e la bontà della scelta strategica di mettere tutto a fattore comune in un’ottica di condivisione e collaborazione tra gli scienziati ed i governi dei paesi europei. L’ESA, con i suoi indiscussi successi, si pone come ottimo competitore della NASA, pur se con bilanci più modesti rispetto a quelli americani. In entrambi questi organismi l’Italia ha una posizione di tutto rispetto confermando la qualità del proprio personale, del know-how anche tecnologico, e della capacità di produrre conoscenza.
Va tutto bene allora? No perché quello che riusciamo a fare quando giochiamo in una squadra, dove peraltro non sempre rivestiamo la fascia di capitano, e con giocatori qualificati e selezionati, non si verifica nello stesso modo quando le “partite scientifiche” si giocano in casa nostra.
Qualunque siano i parametri presi in considerazione, le nostre Università, nemmeno quelle storicamente più prestigiose, figurano nei primi posti delle classifiche mondiali riflettendo perfettamente la dicotomia assurda che abbiamo indicato prima. Abbiamo scimmiottato la struttura formativa anglosassone creando i due livelli di laurea con il famoso 3+2: il risultato è che, nonostante le elucubrazioni dei sociologi e dei pedagoghi di servizio, il livello medio delle competenze degli studenti è decisamente peggiorato e sfido chiunque a dimostrare, dati alla mano, il contrario.
Tutte le forze politiche, da destra a sinistra nessuno escluso, discettano sull’importanza della formazione come elemento trainante dello sviluppo e della competitività del paese: ma questo sempre e solo prima delle elezioni. Un attimo dopo il tema scompare dall’azione politica o viene declassato fino alla prossima competizione elettorale.
La maggioranza degli studenti ha come scopo primario quello di superare gli esami, se possibile con il minimo sforzo: il fine è il raggiungimento dei crediti necessari al conseguimento del titolo; l’acquisizione di competenze è elemento marginale e non rilevante perché quello che conta è arrivare ad accaparrarsi un posto fisso sul quale galleggiare sino alla pensione. Competizione e meritocrazia sono due termini desueti ed ignoti ai più.
C’è una soluzione al continuo rallentamento nazionale? Non lo so e non è facile fare previsioni: il contesto non si presenta favorevole e non si intravedono segnali confortanti ma in cambio abbondano le Conferenze ed i dibattiti sul tema.
Eppure un primo passo ci sarebbe; rivoluzionario anche. L’abolizione del valore legale del titolo di studio! Cosi ché il posto di lavoro ognuno se lo conquista sulla base delle competenze possedute in un mercato estremamente flessibile e reattivo.
Sono convinto di parlare di un sogno, un’utopia che nasce dal desiderio di vedere il paese risorgere nel giro di una generazione e prima che la mia si estingua.
Nel frattempo la Cina corre sempre più velocemente davanti a noi.