La Cina era vicinissima

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La Cina era vicinissima

La Cina era vicinissima

06 Febbraio 2011

“Bologna si rivela” è il titolo di una tre giorni (28, 29, 30 gennaio) di eventi abbinata alla fiera mercato dell’arte di Bologna. Apertura straordinaria di musei e chiese, con appuntamenti musicali, tra cui “Sotto il segno del dragone”, un concerto conferenza organizzato e condotto da Philippe Daverio.

Premessa meteo. Gli amici bolognesi ci avevano avvertito: nei giorni della fiera piove sempre. Niente vero; ha nevicato, ma così forte che hanno dovuto sospendere Roma – Bologna per campo impraticabile. Quindi, piedi bagnati, umore nero, e necessità di autogratificazione tramite tortellini, zamponi e sangiovese.

L’evento. Una bella chiesa, ben riscaldata, folto pubblico, e una pedana occupata da: Yu, un cinese pelato in camicione azzurro con violino monocorda; Foo, una cinese in camicione giallo con liuto tetracorde; Guo, un cinese capelluto con organo a bocca; Wu, un’altra cinese, rock, ai tamburi; più flauti, cello e percussioni, europei. All’altro lato, i quattro saggi, alla conduzione. Un hippy francofono serioso, con coda di cavallo, un esperto bilingue abbastanza disinvolto, ma animoso verso il terzo, un pedante in casacca cinese, con sotto camicia a righine e cravatta da cumenda, e finalmente: la star! (e lo diciamo senza un briciolo di irrisione) Philippe Daverio. Personaggio originale nell’abbigliamento: papillon, giacche e panciotti spesso stravaganti. Esperto d’arte e poliglotta, ma soprattutto dotato del dono supremo di riuscire a rendere leggero, ma mai sciocco, qualunque momento di qualunque manifestazione di cultura. Lo conoscevamo già per l’intelligente conduzione di “Passepartout”, arte su RaiTre e per altre presenze illuminanti negli spazi dedicati al figurativo e alla musica. Insomma, un contrappeso a Sgarbi, altrettanto sapiente, ma di lui molto più elegante, raffinato e simpatico.

Il tema era pentatonico (nel senso della scala cinese). Apertura di concerto con venti minuti di percussioni che ci hanno ricordato le serate da figli dei fiori, solo che, grazie agli spinelli, allora tutto diventava fumoso e magico, mentre stavolta l’esibizione ci è sembrata un po’ così, tendente all’approssimativo. Beh, niente di male. Nella penombra abbiamo intravisto i quattro saggi un po’ attoniti, ma dopo l’ultimo gong, ecco il guizzo di Daverio che alleggerisce subito calembourando fra fusion e confusion. E’ quello che ci vuole; dietro suo invito i solisti cinesi si esibiscono, prima in un brano del ‘600 per liuto solo, che ricorda un po’ la strofa di Torna a Surriento trillata sul mandolino. Poi il violinista monocorda si lancia in un brano che richiama nitriti e galoppi di cavalli. Molto onomatopeico e piuttosto ingenuo. Bravissimo a tirar fuori tutto quel suono da una corda sola. Con quattro probabilmente avrebbe ottenuto lo stesso risultato con molto meno fatica. Seguono altre esecuzioni interessanti. Dalla conversazione in pedana viene fuori che la musica cinese rifiuta la struttura assoluta preferendo raccontare paesaggi ed emozioni, un po’ come abbiamo fatto noi con i poemi sinfonici dall’ottocento fino a Respighi. Per poi snobbarli.

Interessanti le sonorità di questi strumenti sconosciuti, ma abbiamo paura che il fascino della musica orientale finisca davvero con il colore e il ritmo. Di armonia e contrappunto non se ne parla mai (salvo nostra ignoranza). Certo, al musicista occidentale probabilmente sfuggono e sfuggiranno sempre la complessità dei ritmi o le sottigliezze dei microtoni che ci arrivano da est. Sarà anche una mancanza, però una cultura che ha generato Bach o Ellington, non crediamo che debba sentirsi inferiore a nessun’altra. Parallela, sì. Possiamo andare avanti osservandoci, rubacchiando qualcosa da una parte e dall’altra (ricordate i sitar e i tabla dei Beatles di ritorno dall’India?) ma senza farci problemi di superiorità o dipendenza.

In definitiva: una serata istruttiva e molto divertente, tenuta sempre in equilibrio dai tempi perfetti del conduttore e dalla giusta mistura di sacro e profano degli interventi parlati. Così si fa. Utile e dilettevole.

Arriviamo a Roma un po’ stanchi per i chilometri, innevati nella prima parte del viaggio, poi sereni. Il nostro è un paese lungo e stretto, vieni da nord, passi gli Appennini, e spesso, sul valico ti cambia la stagione. (Chissà com’è il Cile, tre volte più lungo dell’Italia, che va dall’equatore alla Patagonia). A casa, davanti al televisore cadiamo in trappola. Trasmettono “Natale a Rio”, cinepanettone. E’ da non credere, il perverso potere immobilizzante che ha su di noi l’imbarazzo (Un po’ come la morbosa curiosità di sbirciare l’incidente stradale). Perché l’imbarazzo è l’unica reazione possibile nel guardare sullo schermo quei due signori ultracinquantenni che per centoventi minuti, e senza vergognarsi, prestano le loro, vogliamo chiamarle mimiche facciali e corporali (certo non si tratta di recitazione) a una sceneggiatura basata principalmente su culi, tette, e situazioni di un infantilismo flatulento, quasi troppo insistito per essere volgare. E noi lì, come deficienti, a vedere fino a che punto sarebbero arrivati.

Registi di nostra conoscenza ci ripetono che il bravo attore è un contenitore vuoto che si riempie volta a volta del suo personaggio, ma senza assumerne le responsabilità. Noi non ci riusciremmo mai, ma non siamo attori. Invece, nel film, De Sica e Ghini ci riescono benissimo.

Vuol dire che noi, come appena dichiarato, non siamo bravi attori, mentre loro si?

Mah, dopo la visione qualche dubbio ci rimane.

L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel suo blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: http://blog.libero.it/torossi