La Cina fa scorta di gas ma con l’economia cresce anche la corruzione
31 Dicembre 2008
Sviluppo e corruzione, crescita economica e cattiva gestione. Poli opposti che si conciliano in un perfetto mix nella società cinese.
Proprio il giorno della vigilia di Natale, il governo cinese ha firmato un accordo con il Myanmar per forniture di gas per i prossimi 30 anni. Il protocollo d’intesa coinvolge, oltre alla China National Petroleum Corporation (CNPC) e alla Myanmar Oil and Gas Enterprise, anche le compagnie sudcoreane Daewoo International e Korea Gas, l’India’s Oil & Natural Gas Corp (ONGC) Videsh e Gas Authority of India (GAIL) Limited. In base al documento sottoscritto, le forniture saranno prelevate da due complessi offshore situati nell’area di Shwe, nella Baia del Bengala, verso il confine con il Bangladesh. Le riserve di gas naturali del Myanmar sono stimate attorno ai 21mila miliardi di metri cubi e nell’area di Shwe si trova il 50% di questo patrimonio energetico. L’accordo include anche la realizzazione di un oleodotto-gasdotto per portare le forniture nel sudest della Cina (nella provincia dello Yunnan) entro la fine del 2009: un investimento di 2,5 miliardi di dollari. Le risorse energetiche provenienti da Shwe offriranno così la possibilità di svincolarsi dal passaggio, fino ad oggi obbligato, nello stretto di Malacca, infestato da pirati.
Gli analisti considerano il patto come l’ennesimo passo di Pechino per estendere la propria influenza nell’oceano Indiano ai danni soprattutto del governo di Nuova Delhi.
Le organizzazioni umanitarie, invece, hanno espresso forti perplessità, dal momento che nessuno dei Paesi coinvolti nel ricco mercato energetico chiede maggiore rispetto dei diritti umani.
E se, da un lato, lo sviluppo della società cinese non sembra conoscere soste, dall’altro emergono grosse “lacune” nella gestione delle ingenti risorse economiche che stanno cadendo a pioggia sul Paese.
Liu Jaiyi, responsabile del National Audit Office (Nao), organo deputato ai controlli, ha rivelato che, nei primi 11 mesi del 2008, circa 57 miliardi di yuan (5,7 miliardi di euro) sono stati “usati male o sottratti” da funzionari e dipendenti di organi pubblici e compagnie statali.
Il Nao ha trovato 837 casi di cattiva gestione e ha azionato il procedimento disciplinare contro 64 funzionari e 226 impiegati. Molte sottrazioni riguardano grandi ditte statali e giganti finanziari come la Banca cinese dell’industria e del commercio, la China Construction Bank e il Citic Group. In molte grandi aziende sono stati trovati “dati fiscali alterati” ed è persino difficile distinguere le sottrazioni di fondi pubblici dalla cattiva gestione. Solo per rendere l’idea delle dimensioni del problema, l’ex segretario del Partito comunista di Shanghai, Chen Liangyu, è accusato di avere usato in modo improprio “solo” 3,2 miliardi di yuan di fondi pubblici.
Da anni i leader cinesi promettono tolleranza zero contro corruzione e malgoverno ma la situazione sembra sempre più preoccupante perché sottrazioni e, secondo Liu Jaiyi, “cattive gestioni possono portare a compromettere le riserve necessarie di grano, gli investimenti esteri e la sicurezza energetica nazionale”. Per il 2009 il Nao dedicherà grande attenzione ai fondi destinati a stimolare l’economia, specie quelli per la ricostruzione nel Sichuan. Mentre Pechino, sempre per evitare forme di malgoverno, sta studiando la possibilità di proibire ai governi provinciali la redazione di dati statistici sulla loro economia. Wu Xiaoling, membro del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, ha lamentato che molte autorità locali “gonfiano” i dati per mostrare un Prodotto interno lordo (Pil) locale maggiore del reale.
Da sempre i dirigenti costruiscono le carriere sui risultati economici raggiunti, per cui molti li ingigantiscono. Così che nel 2006 e nel 2007 la somma dei dati forniti dalle province indica un Pil nazionale maggiore del reale per migliaia di miliardi di yuan.
Solo l’ennesima incongruenza di una nazione che appare sempre più incapace di gestire un futuro da superpotenza