La Cina vorrebbe sostituire il dollaro con lo yuan (ma non le conviene)
12 Ottobre 2009
Il 6 ottobre scorso, in un articolo intitolato "La morte del dollaro", il giornalista dell’Independent Robert Fisk ha scritto di aver appreso da fonti bancarie arabe e cinesi che i sei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait, Qatar, Oman e Emirati Arabi Uniti), insieme a Cina, Giappone, Francia e Russia, vorrebbero sostituire il dollaro come moneta di scambio per le transazioni petrolifere.
I ministri delle finanze di alcuni dei Paesi coinvolti avrebbero discusso la possibilità di fissare un paniere alternativo di valute che includerebbe lo yen giapponese, lo yuan cinese, l’euro, l’oro e la futura (e ipotetica) moneta comune del Golfo, al posto della valuta americana, nel tentativo di svincolare i commerci petroliferi dai processi di svalutazione di quest’ultima. Nonostante le immediate smentite degli alti responsabili sauditi e russi, la notizia ha fatto il giro del mondo causando un ribasso del dollaro rispetto all’euro. A prescindere dalla veridicità delle informazioni, lo scoop del quotidiano britannico ha messo ancora una volta in luce la fragilità del dollaro e le ripercussioni sui mercati internazionali. A seguito della svalutazione della moneta americana avvenuta negli ultimi mesi, sono in molti a chiedere una revisione del sistema monetario internazionale, di cui il dollaro è valuta di riferimento.
A criticare l’egemonia del dollaro è soprattutto la Cina che, con circa 1.000 miliardi di dollari in buoni del tesoro americani, è attualmente il principale creditore di Washington. Il governo di Pechino ha in più occasioni lanciato appelli al Fondo Monetario Internazionale, per una revisione del sistema monetario internazionale. Martedì scorso, durante la riunione semestrale del FMI e della Banca Mondiale a Istanbul, il ministro delle finanze cinese Xie Xuren ha dichiarato che l’FMI dovrebbe lavorare per risolvere i "difetti intrinseci" del sistema e "garantire un ambiente monetario stabile per la crescita e la stabilità finanziaria".
Secondo il parere di molti osservatori, la Cina starebbe reagendo meglio degli altri paesi alla crisi internazionale. Ma la debolezza del dollaro rischia di frenare la crescita economica del paese. Le riserve cinesi dipendono dalla stabilità del dollaro e dalle performance economiche statunitensi. E per questo che a Pechino i responsabili delle finanze sono sempre più inquieti. I cinesi non credono più alle garanzie americane. Nel mese di giugno, quando, durante una conferenza all’ Università di Pechino, il segretario del Tesoro americano T. Geithner ha assicurato che i crediti cinesi agli Usa erano al sicuro, molti studenti hanno sorriso.
Negli ultimi mesi, le richieste di riforma del sistema finanziario mondiale, da parte dei dirigenti cinesi, si sono moltiplicate. Il 23 marzo di quest’anno, il governatore della Banca della Cina suggeriva l’allargamento ad altre monete del paniere delle valute di riferimento del FMI, attualmente composto da dollaro, euro, sterlina e Yen. Il 3 maggio, insieme agli altri paesi dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale), la Cina ha creato un fondo speciale di 120 miliardi di dollari denominato "Fondo monetario Asiatico". Esattamente un mese dopo, i Paesi del BRIC (Cina, India, Brasile, Russia) discuteva la sostituzione del dollaro come moneta di riferimento internazionale.
Negli ultimi mesi, la Cina ha firmato accordi che autorizzano ad effettuare scambi in moneta nazionale con l’Argentina, la Bielorussia, la Malaysia, l’Indonesia e la Corea e si prepara a concludere intese simili con Russia, Tailandia e Giappone. Nello stesso tempo, cerca di aumentare l’influenza dello yuan ad Hong Kong, una delle più grandi piazze finanziarie al mondo, permettendo alle imprese cinesi di svolgere scambi in yuan nella penisola (e non più in dollari di Hong Kong). Il 28 settembre, per la prima volta nella sua storia, la Cina ha emesso sul mercato internazionale dei bond del tesoro in moneta nazionale, azione giustificata dal ministro delle finanze con la necessità di risollevare lo statuto internazionale dello yuan. Tutte queste iniziative hanno spinto molti osservatori a speculare sulla potenza finanziaria della Cina e a predire la fine dell’ egemonia del dollaro.
In realtà, nessuna di queste misure fa pensare ad un’imminente sostituzione del dollaro con lo yuan. Il possesso di un numero elevato di bond americani fa sì che la Cina non abbia alcun interesse a una svalutazione ulteriore della moneta americana, che sarebbe inevitabile nel caso di sostituzione del dollaro nelle transazioni petrolifere. Secondo David Li, professore di economia a Qinghua e presidente della sede cinese della società di servizi finanziari UBS, il governo di Pechino considera il controllo della sua moneta una protezione contro i sussulti dell’economia mondiale. La convertibilità totale dello yuan non sarà attuata presto. La classe dirigente cinese si è mostrata pragmatica e prudente e non prenderebbe una decisione di questa portata senza conoscere esattamente le conseguenze che ciò potrebbe avere sulla stabilità delle finanze e dell’economia cinese. Per il momento i dirigenti cinesi si accontentano di "testare il terreno". Le dichiarazioni rilasciate al G20 o alle riunioni del FMI avrebbero così il duplice obiettivo di verificare le reazioni dell’opinione pubblica internazionale sull’ipotesi dell’avvento di un’era post-dollaro e, nello stesso tempo, affermare l’influenza di Pechino sulla scena economica mondiale.