La condanna del negazionismo limita la libertà di ricerca?

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La condanna del negazionismo limita la libertà di ricerca?

23 Gennaio 2007

Ho declinato l’invito a firmare il “Manifesto dei Centocinquanta”, a cui ha intanto dato l’adesione la stragrande maggioranza degli storici contemporaneisti italiani, con cui si protesta contro il progetto di legge sull’istigazione e l’apologia di crimini contro l’umanità presentato in questi giorni dal governo. Originariamente, le notizie trapelate sui giornali facevano pensare ad una legge simile a quella tedesca, introdotta poi in diversi paesi europei, sulla “bugia su Auschwitz” (Auschwitzlüge), mirata a sanzionare posizioni negazioniste rispetto allo sterminio degli ebrei europei. Probabilmente anche in seguito alle reazioni contrarie in diversi ambienti accademici e politici, il testo definitivo ha assunto poi una connotazione più generale, tralasciando il passo concernente la negazione dell’esistenza dei genocidi e dei crimini contro l’umanità.

Anche nella sua versione definitiva, comunque, il progetto di legge Mastella, analogamente ad altre leggi in vigore in diversi paesi europei, ci pone di fronte al dilemma di una “competizione di valori” (Max Weber). Al bene della libertà di opinione fa da contrappeso il bene di una sanzione del negazionismo e dell’antisemitismo. Qualsiasi misura legislativa viene formulata in un simile campo di forze valoriale: per esempio, nella legislazione di regolamentazione sull’aborto o sull’uso delle droghe al bene della libertà individuale fa da contrappeso il bene della tutela della vita e della salute. E’ quindi il caso di chiederci, nell’attuale situazione europea e internazionale, a quale bene vada data la priorità, fatto salvo che nessun principio può essere affermato in termini assoluti e che – d’altra parte – pesanti pene detentive sembrano inopportune anche per i negazionisti più incorreggibili, come il caso di David Irving insegna.

Il progetto di legge italiano si colloca nell’ambito di un’iniziativa europea durante il semestre di presidenza tedesca dell’UE che dovrebbe essere lanciato a Bruxelles nei prossimi giorni. Proprio in una fase di esistenza dell’Unione Europea in cui l’apertura ad est ha portato al rapido ingresso di nuovi stati membri in cui l’antisemitismo ha radici antiche e in cui non ha avuto luogo una riflessione storiografica e culturale sulla Shoah come quella avvenuta in Germania e nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale, affermare a livello legislativo che il negazionismo non può avere diritto di cittadinanza nell’Europa unita mi sembra una misura opportuna. Questo potrebbe essere un passo importante in direzione di un’identità europea basata su valori condivisi, di cui giustamente, finora, si lamenta l’evanescenza.

A livello internazionale va rilevato come il negazionismo, fino alcuni anni fa fenomeno puramente folcloristico, sia assunto, per esempio in un paese come l’Iran, a vera e propria dottrina di stato. In assenza di un’efficace contrapposizione e di un segnale forte da parte dell’Europa, che è il “luogo” in cui lo sterminio degli ebrei si è verificato, il negazionismo sarebbe destinato a diventare un legittimo linguaggio con cui veicolare il progetto di distruzione dello Stato di Israele. Non può non suscitare stupore il giudizio dei promotori del “Manifesto”, secondo cui è stata data troppa attenzione alle posizioni del presidente iraniano Ahmadinejad, sulle quali, sarebbe stato evidentemente opportuno glissare, dato che l’attenzione finisce per moltiplicarne “inevitabilmente e in modo controproducente l’eco”.

Entro ora nel merito delle argomentazioni del “Manifesto”:

  1. si offre ai negazionisti la possibilità di ergersi a difensori della libertà di espressione. Vedi le considerazioni svolte più sopra.
  2. si stabilisce una verità di stato…Ogni verità imposta dall’autoritä statale…non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale. Non esistono nella ricerca storica sulla Shoah posizioni negazioniste con cui cercare il libero confronto ai fini di un progresso delle conoscenze. E’ destituita quindi di significato l’affermazione che una legge antinegazionista ostacolerebbe la ricerca storica. Una legge puntuale contro la “negazione di Auschwitz” non può essere paragonata ad  ideologie autoritarie o ad una legislazione negazionista  come quella turca o quella cinese. La Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea avrebbe fatto meglio ad esprimere in positivo la propria solidarietà ai pochi temerari storici (e storiche) turchi che a rischio della vita investigano la realtà del genocidio degli armeni, piuttosto che a impegnarsi contro un progetto di legge antinegazionista.
  3. si accentua l’ideadell’unicità della Shoah. Prendo atto che i colleghi fanno propria una concezione „relativista“ (un genocidio tra i tanti) della Shoah. Trattasi di una concezione più che legittima, sostenuta, tra gli altri, da Ernst Nolte al tempo della famosa „Controversia tra gli storici“ (1986), con il quale non penso che la maggioranza die firmatari del „Manifesto“ si trovi in sintonia. Una legge antinegazionista non tange, in ogni caso, la pluralità delle interpretazioni e degli approcci di ricerca sulla distruzione degli ebrei in Europa. Si limita a prevedere sanzioni per chi nega che il fenomeno sia esistito.
  4. Possiamo poi concordare sull’auspicio che la storiografia italiana approfondisca maggiormente diverse pagine nere della storia nazionale. Anche unendoci a tale auspicio non possiamo però esimerci dal chiederci in che misura la difficoltà a fare i conti con il passato da parte della nostra società civile non sia dovuta alla persistenza di contrapposizioni ideologiche apparentemente insormontabili che coinvolgono in pieno anche la storia contemporanea e che inficiano pesantemente la ricerca spassionata della verità storica. A più di sessant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale il passato recente continua a venir lottizzato tra le diverse parti politiche, impedendo un’assunzione di responsabilità di carattere nazionale, che segnerebbe senz’altro un salto di qualità nella maturità civile del paese.

 Concludo con una nota di ottimismo, auspicando che dopo che duecento storici contemporanei dei più diversi schieramenti si sono pronunciati a favore della “fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale”, tale fiducia riverberi anche nella loro prassi quotidiana di ricercatori con effetti indubbiamente positivi per la storia contemporanea e la coscienza civile del nostro paese.

Marina Cattaruzza ? professore ordinario di Storia contemporanea generale all?Universit? di Berna. Ha curato assieme a Marcello Flores, Simon Levi Sullam e Enzo Traverso la ?Storia della Shoah? UTET (Torino, 2005-2006). Il suo saggio sulla storiografia della Shoah ? stato pubblicato anche in lingua inglese nella rivista ?Totalitarismus und Demokratie ? Totalitarianism and Democracy? dell? Istituto Hannah Arendt di Dresda per la ricerca sul totalitarismo.