La Consulta dice nì ma non risolve l’anomalia del conflitto tra poteri
13 Gennaio 2011
La Consulta dice nì. In parte boccia e in parte salva alcune norme sullo scudo del premier, ponendo diversi paletti alla legge-ponte pensata e approvata dal Parlamento in attesa della costituzionalizzazione del Lodo Alfano. Al netto del verdetto dei giudici sull’impianto per il quale il tribunale di Milano aveva presentato tre ricorsi di incostituzionalità, il dato oggettivo che emerge è che a distanza di vent’anni non viene risolto lo squilibrio tra potere esecutivo e potere giudiziario. Di fatto, d’ora in poi l’agenda istituzionale del premier sarà ‘vistata’ da un giudice. Berlusconi non commenta e preferisce guardare al bicchiere mezzo pieno anche se da oggi metterà in pratica quello che mercoledì ha annunciato da Berlino: spiegherà agli italiani la sua verità processuale.
Sul piano politico la maggioranza fa quadrato intorno al Cav. che non commenta ufficialmente anche se dal suo entourage trapela che avrebbe definito il verdetto della Consulta un “compromesso accettabile”. Un pronunciamento in un certo senso atteso dal premier che ai suoi ha assicurato che la decisione non condizionerà l’esecutivo. Dunque la parola d’ordine resta: andiamo avanti. Come a dire che la linea non cambia e il passaggio di ieri non avvicina la scadenza elettorale. Lo certifica il capogruppo alla Camera Cicchitto quando dice di non vedere “elezioni alle porte” e che si andrà avanti nell’attività di governo”. Del resto anche la Lega che da settimane spinge per tornare alle urne conferma che “la sentenza non bloccherà l’azione dell’esecutivo” e che il “cammino delle riforme prosegue coi tempi e i modi già stabiliti”, spiegano i due capigruppo di Camera e Senato, Reguzzoni e Bricolo. In ballo, si sa ci sono i decreti attuativi del federalismo fiscale col passaggio, strategico, del decreto sulle Regioni (successivo a quello dei Comuni al voto il 23 gennaio a Montecitorio) e il Carroccio in questa fase ha tutto l’interesse a portarli a casa.
Commenti prudenti anche dal Terzo polo che non ha alcuna intenzione di accelerare la via verso le elezioni e per questo non insiste troppo nel polemizzare con la maggioranza. I finiani con Urso invitano a non strumentalizzare le sentenze, segno evidente che i futuristi seguono diligentemente la linea dettata da Casini. Non solo, ma il Cav. sa bene che anche dalle parti del Pd non vedono di buon occhio la prospettiva elettorale specie in questo momento dove il caos dentro il partito di Bersani regna sovrano, come del resto la direzione nazionale di ieri ha confermato.
Ma è sul senso in sé della decisione che si appuntano i commenti più critici nei ranghi pidiellini, come quello del vicepresidente dei senatori Gaetano Quagliariello convinto che le “sentenze non dovrebbero mai essere una sconfitta o una vittoria per la politica. Se qualcuno ha perso oggi è la democrazia, perché questa è una sentenza inutile che non si fa carico dello squilibrio che si è inserito nella nostra Costituzione materiale dopo l’abrogazione del secondo comma dell’articolo 68”. Ed è proprio per questo vulnus mai sanato che secondo Quagliariello “il potere giudiziario oggi diventa ancor più un potere irresponsabile. La sacrosanta autonomia, che è giusto che abbia, non si può trasformare in irresponsabilità. E la sovranità del popolo è sempre più minacciata da questa iniziativa irresponsabile. E per questo se ha perso qualcuno non è certo Berlusconi ma è la democrazia che resta a legittimità limitata”. La vera priorità, insomma è che una volta per tutte non ci dovrebbero essere “più dubbi sul fatto che a determinare le sorti di un Paese, la sua classe dirigente, sia la sovranità del popolo. E non indebite iniziative del potere giudiziario. Finché ci sono anche dei dubbi in questo senso, una democrazia è una democrazia non imperfetta ma addirittura illegittima”.
Se gli effetti politici del verdetto della Consulta per il momento non sembrano determinanti per il destino della legislatura come invece in molti nel centrodestra temevano, negli ambienti della maggioranza non viene esclusa l’ipotesi di un’accelerazione della costituzionalizzazione del Lodo Alfano che se la road map rispetterà i tempi previsti, potrebbe essere varato entro l’anno. In alternativa, non si esclude neppure l’ipotesi di un nuovo intervento legislativo che tenga conto delle indicazioni della Consulta proprio per superare le criticità sollevate. Al punto che l’idea di un provvedimento parlamentare circola in queste ore con una certa insistenza nel quartier generale pidiellino di via dell’Umiltà.
Sul piano giuridico cosa cambia? Sono sostanzialmente tre gli elementi introdotti dalla sentenza. Il primo: la cancellazione dell’automatismo del legittimo impedimento per sei mesi, ovvero si dice no all’autocertificazione di Palazzo Chigi e l’obbligo per il giudice di rinviare l’udienza fino a sei mesi. Il secondo: la valutazione sul legittimo impedimento del premier a partecipare ai processi nei quali è coinvolto (Mills, Mediaset e Mediatrade) d’ora in poi sarà affidata al giudice, di volta in volta. Semplificando molto, lo scenario potrebbe essere questo: se il venerdì Berlusconi ha il consiglio dei ministri e non può essere all’udienza, magari secondo il giudice potrebbe farlo il sabato. E comunque sarà il giudice a valutare se le motivazioni presentate dal premier saranno conformi alla norma parzialmente corretta dalla Consulta. In quest’ottica cambia il fatto che la valutazione sull’impedimento diventa una sorta di competenza esclusiva del giudice e non di Palazzo Chigi. Sul piano istituzionale e dell’equilibrio tra i poteri tanto invocato, la realtà è quella di un sostanziale ‘vantaggio’ per quello giudiziario.
Il terzo elemento: ciò che resta nella sua integrità è l’impianto dello scudo previsto per le alte cariche dello Stato. In questo senso la Consulta conferma il ruolo istituzionale del presidente del Consiglio riconoscendo che la sua specificità è costituzionalmente legittima. Ad essere salvo, infatti, è il principio fondamentale della norma e cioè la garanzia della continuità dell’azione di governo del premier fino alla scadenza del mandato elettorale, ma non c’è dubbio che il rischio vero è quello di spalancare le porte a una sorta di complesso contenzioso sull’esercizio dell’attività di governo (ancora una volta tra potere giudiziario ed esecutivo) che potrebbe produrre effetti negativi proprio sul versante della stabilità.
E in questo quadro è facile immaginare scenari turbolenti per la ripresa dei tre processi milanesi nei quali Berlusconi è imputato: Mediaset, Mills e Mediatrade. I tre procedimenti non dovrebbero riprendere prima di un paio di mesi, considerando anche i tempi tecnici necessari alla Consulta per trasmettere le motivazioni della sentenza a Milano. Non c’è dubbio però che il clima potrebbe essere quello di quando (prima delle sospensioni determinate dall’invio degli atti alla Corte Costituzionale) i legali del premier e il pm battagliavano udienza dopo udienza sui legittimi impedimenti invocati da Berlusconi e “certificati” con timbro della Presidenza del Consiglio. C’è poi da considerare che nel caso in cui il giudice non riconosca valido il legittimo impedimento del premier, gli avvocati della difesa possono sollevare il conflitto di attribuzione e chiamare a pronunciarsi ancora una volta la Corte Costituzionale. Il tutto, ovviamente, con l’effetto di una ulteriore dilatazione dei tempi processuali.
C’è poi il nodo del referendum. Mercoledì la Consulta ha dichiarato ammissibile quello abrogativo della legge presentato da Di Pietro, ma adesso visto che la sentenza non boccia in toto il legittimo impedimento sarà necessaria una revisione o un adeguamento dei quesiti referendari al pronunciamento dei giudici costituzionali. In altri termini, il passaggio obbligato è quello dell’Ufficio centrale della Cassazione che dovrà vagliare attentamente la pratica e dire l’ultima parola sull’iniziativa dell’Idv. E se anche il referendum fosse confermato, come in molti ritengono, occorrerà attendere i tempi tecnici del deposito delle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale prima di mettere in moto la macchina referendaria. Il che significa anche in questo caso tempi abbastanza lunghi, si parla già di alcuni mesi.
Insomma, se il ‘compromesso’ della Consulta sul legittimo impedimento non spalanca le porte alla campagna elettorale il vero nodo che il Cav. è chiamato a sciogliere sono i numeri della maggioranza, dal momento che nonostante il clima collaborativo con Casini, il punto restano i voti appannaggio del centrodestra a Montecitorio e nelle commissioni. Il gruppo dei ‘responsabili’ è l’opzione per assicurare stabilità e in questo momento sembra essere la vera priorità per il Cav. , più che l’idea di ributtarsi in una campagna elettorale. Un modo anche per prendere tempo, ma il timer ormai impone tempi stretti.