
“La Convenzione? Non è detto che ci sarà”

05 Maggio 2013
di Ugo Magri
La festa delle riforme non è ancora incominciata. Ma dallo scontro sulla Convenzione sembrerebbe già finita… Si attendeva, ministro Quagliariello, un esordio così tribolato?
«Mi permetta di far notare che io sono ministro delle Riforme, non della Convenzione».
E che differenza fa?
«Notevole. Se la mia bussola è il documento dei cosiddetti "saggi" voluti dal Presidente Napolitano, allora le riforme necessarie toccano la Costituzione, senza dubbio, ma pure i Regolamenti parlamentari e leggi ordinarie come quella elettorale».
Vorrebbe farci credere che la Convenzione non è il centro delle sue attuali preoccupazioni?
«Cerco di spiegare che il fine vero è fare le riforme istituzionali. Tutte quelle necessarie a modernizzare il Paese, nonché a pacificarlo. La Convenzione a mio avviso può essere un buono strumento».
Indichi a noi profani i vantaggi.
«Concentrare lì la discussione può permettere di stringere i tempi; di tenere l’esame delle proposte al riparo dalle tensioni politiche quotidiane; di coinvolgere espressioni autorevoli della società civile… Tutti motivi per cui anche in passato sono stati formati organismi ad hoc. Ciò detto, il primo interrogativo cui rispondere è, appunto, se la Convenzione può mantenere queste promesse. Se ci sono ostacoli anche giuridici alla sua nascita».
Ecco, appunto. Rodotà nutre seri dubbi. Teme che la Convenzione faccia strage della Costituzione…
«Rodotà ha riserve di natura etico-politica che io trovo legittime, senza condividerle. Ma eccepisce pure obiezioni di natura tecnica che esigono risposte serie. Per esempio: come possono fare parte di questo organismo, e votare sulla futura Costituzione, personalità mai elette e solo cooptate? Non è che, siccome solleva la questione Rodotà, ci si può passare sopra…».
Già. E allora, ministro?
«Io mi sto occupando appunto di sciogliere questi nodi. Di verificare se lo strumento preferibile, la Convenzione, rientra nella cornice costituzionale; se offende le prerogative del Parlamento; se concretamente può funzionare e come… Poi ci sono tutte le altre riforme, dei Regolamenti, delle leggi ordinarie: c’è da preparare uno scadenziario molto preciso, in modo da rendere tutto questo processo trasparente e da permettere ai cittadini di controllare come si svolge. Casomai dovesse bloccarsi, di chi ne sarà la colpa».
Quando sarà pronto lo scadenziario?
«Tra 10-15 giorni. Nel frattempo, il confronto farebbe bene a concentrarsi sulle cose da fare».
Purtroppo ministro Quagliariello, qui ci si scanna su chi deve presiedere la Convenzione. Berlusconi non disdegnerebbe l’incarico. Dal Pd alzano le barricate… Lei che dice?
«A parer mio non possono esistere veti nei confronti di alcune forze politiche. Dal Pdl non ce ne sono stati, al punto che Berlusconi è arrivato a offrire il governo a Bersani… Troverei sbagliato se il Pd, dopo avere ottenuto il presidente della Camera, del Senato e del Consiglio, giudicasse la nostra parte politica inadatta a esprimere un presidente della Convenzione».
Guardi che è il suo collega di governo Orlando a giudicare poco idoneo Berlusconi…
«Penso che sarebbe meglio lasciare ogni decisione in materia alle forze politiche, tenendo fuori il governo».
Non crede che da Berlusconi sarebbe opportuno un passo indietro?
«Credevo di essere stato chiaro: non spetta ai ministri tranciare giudizi».
Maroni mette in guardia: se sulla Convenzione il governo farà fiasco, difficile che duri a lungo… Sente puzza di bruciato, ministro?
«Io colgo il tentativo del Capo dello Stato, del presidente Letta, del governo nel suo insieme di fare sul serio e di superare tanti anni di guerra civile strisciante. Al tempo stesso avverto una sorta di richiamo della foresta, il tentativo di proseguire a oltranza le solite contrapposizioni. Non solo da chi prova nostalgia del vecchio. Direi, con un ossimoro, anche da parte dei nostalgici del nuovo».
Si riferisce per caso a Renzi?
«A tutti coloro che vorrebbero trasformare la Convenzione in un’arena dove "matare" il governo».
D’Alema suggerisce: partiamo dalla riforma elettorale e liberiamoci del «Porcellum», casomai dovessimo tornare a votare. Perché non dargli retta?
«Se il vero obiettivo fosse trasformare il governo in una breve parentesi, per poi tornare alle urne, capirei la proposta. Se invece l’obiettivo è la governabilità, allora dobbiamo aver chiaro che nessuna legge elettorale da sola può garantirla. Nemmeno la migliore delle riforme possibili. Prima di gettare la spugna, abbiamo il dovere di coltivare un’ambizione più alta per il Paese».
(Tratto da La Stampa)