Tanti anni fa apparve sui giornali italiani un invito a tornare a Cristo rivolto da Papa Montini al suo grande amico Giuseppe Prezzolini. si lesse in un articolo del ‘Corriere della Sera’. L’episodio mandò su tutte le furie una simpatica amica e collega della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova, una studiosa a ragione molto stimata negli ambienti accademici, simpatizzante per ‘Democrazia Proletaria’, come i suoi amici della Milano radical chic e della Roma di ‘Tutti da Fulvia sabato sera’. protestava: E’ sempre motivo di stupore constatare come le metastasi ideologiche possano colpire tanto facilmente anche le intelligenze più vigili. Se la mia amica avesse incontrato in Via Montenapoleone Alessandro Manzoni dopo aver letto ‘Il Cinque Maggio’, lo avrebbe vivacemente redarguito per quel verso< che più superba altezza al disonor del Golgota giammai non si chinò’>. Ma scherziamo? Napoleone e un fantaccino della Grande Armata per il Padreterno non stanno sullo stesso piano? E perché don Lisander non ha dedicato un’ode al rientro nell’ovile cristiano di un oscuro peccatore brianzolo? Come chiamare tutto questo: snobismo intellettuale o egualitarismo ottuso? Sicuramente la fede è qualcosa che riguarda la sfera intima delle persone e altrettanto sicuramente davanti a Dio non ci sono poveri e ricchi, umili e potenti, geni e mediocri. E’ innegabile, tuttavia, che la conversione dei ‘grandi’, di coloro che occupano una posizione eminente sulle scene della politica, della scienza, dell’arte, della conversione di un bracciante molisano noto solo ai vicini. Dovremmo stupircene?
In realtà, non è affatto privo di significato, tanto per fare un esempio tratto dall’attualità, che un premier inglese sia un ateo dichiarato o un credente: in entrambi i casi, le sue opinioni religiose non sono affatto irrilevanti: non condizionano i cittadini, né sotto il profilo politico, né sotto quello giuridico (è finito, per fortuna, il tempo dell’) ma una qualche incidenza pure ce l’hanno. La visione del Number One del Labour Party che riceve l’ostia da un sacerdote cattolico assume almeno due significati che possono fingere di non vedere solo quanti vivono tra i fumi delle ideologie. Il primo è che l’Inghilterra, dopo secoli di scisma, può avere un primo ministro (e sia pure dimissionario) cattolico romano ovvero ‘papista’, per riprendere il termine usato anche dal padre del liberalismo seicentesco, quel John Locke che nei suoi saggi esclude dalla ‘tolleranza’ solo i sudditi (spirituali) dello Stato della Chiesa. Il secondo è che la fede religiosa non sembra più incompatibile con la leadership di un partito che si colloca a sinistra e che, in quanto tale, si richiama a un retaggio di valori illuministici e a una filosofia solidaristica che nell’Ottocento era appannaggio delle correnti democratiche più radicali e più laicistiche. E’ difficile negare che, fino a ieri, un ‘laburista cattolico’ sarebbe stato considerato un ossimoro assai più di un ‘cattolico comunista’ giacché se pareva in fondo naturale l’incontro tra due religioni –una trascendente, il cattolicesimo, l’altra immanente, il comunismo–non altrettanto poteva dirsi del connubio tra un’ideologia laica, secolarizzata e tendenzialmente positivistica ( come la socialdemocratica, in tutte le sue espressioni politiche europee) e il Verbo di salvezza affidato al vicario di Cristo.
Queste considerazioni mi sono tornate in mente leggendo le reazioni suscitate dalla conversione al cattolicesimo dell’islamico Magdi Allam. Innanzitutto, mi son detto, perché meravigliarsi tanto del risalto dato alla notizia sui giornali e sui notiziari di tutto il mondo, dalla BBC al New York Times, dalla ‘Suddeutsche Zeitung’ al ‘Nouvel Observateur’, da ‘Al Arabiya’ al ‘Jerusalem Post’? Il neofita non è uno qualunque ma il vicedirettore del più grande quotidiano italiano, ‘Il Corriere della Sera’ e, pertanto, pretendere un velo di silenzio sulla sua ‘apostasia’ è come trasferirsi in un’altra dimensione spazio-temporale, azzerando–ma solo nel caso in questione–il ‘villaggio globale’ e la ‘società dello spettacolo’ e, ad essere coerenti fino in fondo, la stessa ‘libertà di stampa’. L’auspicata ’autocensura’—sulla vicenda ‘privata’ di Magdi Allam–, infatti, si può esserne sicuri, sarebbe stata tenuta in non cale da qualche ‘crumiro’ (tipo Vittorio Feltri..),e con qualche consistente vantaggio in termini di vendita della ‘notizia’, sicché si sarebbe dovuto far ricorso a provvedimenti punitivi da ‘stato etico’.
In secondo luogo, fanno riflettere le ricorrenti accuse al neo-convertito di non aver avvolto nel cono d’ombra della discrezione i suoi travagli interiori e la sua personale via di Damasco.
. Che l’illustre germanista ritenga che le conversioni siano da tenere lontane dai media è del tutto legittimo (e, del resto, fu questa la scelta—ma in ben diversi contesti temporali e culturali—del grande Nicola Abbagnano) ma chi lo autorizza a parlare di ‘spettacolarità mediatica’ e di ‘logica politica’? Da un lato, Magris fa mostra di rispettare il vicedirettore del suo quotidiano, dall’altro, insinua calcoli tanto più disonorevoli in quanto mascherano l’utile privato con la rinascita (a questo punto dubbia) spirituale. Muovere una critica fa parte dei ‘diritti di libertà’ ma se si è al servizio della verità si ha anche il dovere di riportare le ragioni addotte da Magdi Allam per la ‘spettacolarizzazione’ del suo battesimo. Ed è non poco paradossale che quelle ragioni siano state colte non da un maitre-à-penser ma da un politico della sinistra riformista, serio e onesto come Umberto Ranieri .. E, in effetti, è questo il punto. In una società rincretinita dalla retorica pluralista e multiculturalista, dove non è raro trovare alti dignitari ecclesiastici—v. la Chiesa anglicana—favorevoli ad aprire i nostri codici di diritto civile a norme della sharia e dove la ‘fedeltà alle radici’ è apprezzata solo come antidoto all’americanizzazione del pianeta e all’omologazione culturale che ne deriverebbe, Magdi Allam ha lanciato un messaggio chiaro e inequivocabile:’ nel mondo libero, la libertà di entrare o di uscire da una comunità religiosa’ è sacra e inviolabile e la fatwa contro l’apostata è segno di una barbarie che non può essere assolutamente tollerata. E’ questo che Magris avrebbe dovuto dire, indipendentemente dalla condivisione della strategia mediatica messa in atto dal saggista egiziano e dalle riserve, pur legittime, sull’ambientazione della cerimonia battesimale. E invece, come gli capita talora, ha scelto la strada del facile applauso che si riserva a quanti esprimono, con aria grave e pensosa, opinioni diffuse in quella parte dell’opinione pubblica sempre alla ricerca di guerre civili. Non meraviglia, pertanto, che l’articolo finisca con un ‘colpo d’ala’, la chiamata in campo di Moni Ovaia, il comico–predicatore la cui serenità di giudizio è ben testimoniata dall’intervista concessa a ‘Liberazione’.. A riconferma del fatto che in Italia la weberiana Wertfreiheit—l’impegno all’imparzialità, all’avalutatività, di chi fa cultura—non ha mai avuto pieno diritto di cittadinanza.
La terza considerazione è assai più triste giacché rinvia alla corrività, ormai senza più complessi di sorta, della sinistra radicale, nei confronti dei fondamentalisti musulmani, i cui pregiudizi non vengono più presentati come difetti –da correggere non da enfatizzare–ma come ‘valori’ preziosi da salvaguardare. E’ piuttosto preoccupante, in quest’ottica, l’articolo di Giovanni Franzoni pubblicato da ‘Liberazione il 25 marzo u.s, ,La crociata di papa e Corriere:. Vi si legge che se Ne consegue che debbono rigenerarsi , periodicamente, nel Vangelo, così gli Ebrei debbono fare con la Torah, gli islamici col Corano, gli induisti col Mahavira e Gandhi, i buddisti col darma dell’Illuminato. Quanto , poi, a Questi passaggi, che pongono a Franzoni , dispongono i maestri delle madrasse a minacce non vane. Dobbiamo , incalza l’articolista, rinunciando alle . Insomma ognuno rimanga nella sua tribù e, se proprio vuole rendersi utile al genere umano, faccia la sua brava critica dall’interno. L’exit è vietato: Franzoni lo sanziona sul piano morale e culturale, i fondamentalisti su quello giudiziario e della mattanza degli infedeli.
Qui il problema non è più quello dello ‘spettacolo nella basilica di San Pietro’, del giudizio dato da Allam sull’islam , della scelta come padrino di un deputato di Forza Italia vicino a ‘Comunione e Liberazione’ (al posto di Allam, non esito a dichiararlo, avrei preferito come padrino un religioso e avrei evitato l’attacco all’islam moderato: non entro nel merito delle critiche ma solo sull’opportunità di avanzarle nei giorni del battesimo..). Il problema–vero e drammatico–è ormai quello dell’inequivocabile abdicazione alla nostra cultura e ai nostri valori, e proprio in nome della tolleranza illuministica. Come è potuto accadere che dopo secoli di ‘uso critico della ragione’ ci troviamo dinanzi alla convalida inaspettata della dialettica materialistica del vecchio Engels fondata sul principio della quantità che, aumentando, si converte in qualità? Siamo arrivati al punto che, a forza di dosi sempre più massicce di ‘rispetto dell’altro’, non si rispetta più la libertà e la dignità di nessuno. In fondo al tunnel del multiculturalismo incontriamo Voltaire trasmutato in Tariq Ramadan !Solo che nel discorso di Franzoni, dei no-global, dei don Gallo, dei Moni Ovaia c’è un piccolo, trascurabile, neo.
L’, con la logica regressiva della ‘Gemeinschaft’ e dell’organicismo politico che s’impone sulla ‘Gesellschaft’ ovvero sull’individualismo nelle sue varie versioni (dalla liberale alla democratica), sembra valere solo per le conversioni in una certa direzione (dall’islam al cristianesimo), per le altre, ‘il senso è vietato!’.Non è casuale che i nostri multiculturalisti non abbiano trovato nulla da ridire sulla conversione all’islam di Yaya Pallavicini (un ‘moderato’ che, con le sue dichiarazioni sull’affaire Allam, fa pensare che questi potrebbe aver ragione quando afferma che l’ ‘islam moderato’ esiste solo nel libro dei sogni dei nostri opportunisti politici filoarabi) o dell’ex ambasciatore Scialoja (questa volta, un religioso davvero aperto e tollerante, che ha rivendicato, per ciascuno, la liberalissima ‘libertà di coscienza’). Per gli antipatizzanti di Magdi Allam e per gli articolisti di ‘Liberazione’, non bisogna inutilmente ‘provocare’ il mondo musulmano con conversioni in cui gli antropologi relativisti à la Marc Augé sentono puzza di crociata e di ‘imperialismo culturale’; ed anzi si ha il dovere di invitare i seguaci di Maometto—come di qualsiasi altra religione– a rimanere al loro posto, al fine di non compromettere il dialogo interculturale.. Già il dialogo! Questo bellissimo termine greco, che Socrate e il suo lontano discendente Guido Calogero intendevano come la possibilità per due interlocutori, partiti da posizioni diverse, di convergere sulla soluzione di un problema etico o politico, e quindi alla fine di ‘pensarla allo stesso modo’, da anni è diventato il riconoscimento di una ‘diversità’ destinata a rimanere impenetrabile in quanto iscritta nella storia.. se non nella natura.