La Cooperazione inglese, esempio per l’Europa

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La Cooperazione inglese, esempio per l’Europa

28 Novembre 2012

In Inghilterra il vento sembra essere cambiato e, dopo l’approvazione di importanti provvedimenti legislativi come il Localism Act 2011 e il Public Service Act 2012, volti a favorire lo sviluppo della cosiddetta Big Society, l’esecutivo guidato da David Cameron ha disposto nuove misure volte a sostenere economicamente il mondo del non-profit. Basti pensare all’istituzione dell’Investment and Contract Readiness Fund necessario a sostenere le organizzazioni del Terzo settore inglese.

Si tratta di un fondo frutto della collaborazione tra l’Office for Civil Society, dipartimento governativo che mantiene i rapporti con le diverse espressioni della società civile, e il Social Investment Business, organismo che si occupa di investimenti verso attività a carattere sociale che le banche tradizionali sono tendenzialmente restie a sostenere finanziariamente.

Le risorse del fondo saranno destinate primariamente a quelle realtà del Terzo settore che vogliono partecipare a bandi pubblici per la fornitura di servizi ma che, per diverse ragioni, si trovano nell’impossibilità di farlo. I finanziamenti del fondo provengono da numerose realtà pubbliche e private che operano nel social financing. Esso mira a finanziare, attraverso l’erogazione di prestiti tra le 50 mila e le 150 mila sterline le organizzazioni del Terzo settore che vogliano ampliare il proprio capitale sociale ad almeno 500 mila sterline o vogliano partecipare a gare di appalto che abbiano un valore superiore al milione di sterline. Attraverso queste misure i soggetti promotori del fondo ritengono di poter sostenere la crescita delle organizzazioni non-profit in quegli ambiti, come il settore dei servizi pubblici, in cui spesso non hanno la possibilità di concorrere ad armi pari con le imprese private.

Fa riflettere la costituzione di un siffatto strumento che mostra ancora il rinnovato impegno del Governo britannico nell’attuare misure che possano favorire lo sviluppo di social business in grado di affiancarsi al welfare pubblico che, in tutta Europa, si trova sempre più in difficoltà per via dell’attuale situazione economica e dei limiti strutturali che lo contraddistinguono. Da quello che sembra negli ultimi mesi l’esecutivo, nonostante le aspre critiche a cui il progetto Big Society è soggetto, attraverso la nascita di questa iniziativa pare più che mai deciso a investire nel Terzo settore anche in termini economici, e anche il Localism Act, ad un anno esatto dal varo, ne è una chiara dimostrazione.

Esso mostra un crescente interesse per modello cooperativo e le comunità, con nuove forme di partecipazione pubblico-privato, e proprio questo è il momento giusto per prendere in considerazione il potenziale delle comunità e dei territori.

Oltre a dettare disposizioni dirette a delineare in nuovi termini la governance degli enti locali, la legge assegna alle comunità territoriali un ruolo di primo piano con riguardo alla gestione dei servizi pubblici locali, agevolando la partecipazione dei gruppi e delle formazioni sociali che ne sono espressione – organizzazioni di volontariato, imprese sociali – alle gare concernenti l’affidamento in gestione di servizi precedentemente qualificati d’interesse per le comunità medesime (community value assets). L’importanza attribuita dal legislatore inglese alle comunità locali nei processi decisionali che le riguardano è rilevante e senza precedenti in particolare se confrontata al resto dell’Europa.

Rientra infatti nella finalità di questa politica la previsione di responsabilizzazione degli enti locali, tenuti a fornire giustificazione degli aumenti richiesti direttamente ai contribuenti elettori. Tra le altre disposizioni della legge vale la pena citare quelle che abilitano gli enti locali a determinare, in esercizio delle loro competenze e nei rispettivi ambiti territoriali, riduzioni di oneri finanziari al fine di attrarre insediamenti produttivi ed incentivare la creazione di posti di lavoro, nonché quelle dirette ad introdurre criteri di flessibilità nel settore dell’edilizia sociale (social housing) attraverso la previsione di più brevi limiti di durata dei contratti di locazione sottoscritti in tale ambito e la verifica dell’effettiva sussistenza dei requisiti dei soggetti che si avvalgono delle relative agevolazioni.

Il fatto che tutti questi provvedimenti trovino ora ampio spazio in Inghilterra segnando un profondo cambio di tendenza rispetto al passato deve farci riflettere. Tale nuovo modo di concepire l’economia, la società e la cooperazione nelle varie declinazioni è andato accelerando proprio negli anni più duri della crisi, quale chiara risposta alle energie espresse dal basso. Nel nostro Paese, pur con una grande tradizione nello sviluppo e nella valorizzazione del modello cooperativo, non assistiamo ad un’analoga attenzione verso le esperienze della cooperazione e del Terzo Settore che continuano ad operare – nonostante la crisi – in un quadro legislativo che non ne permette lo sviluppo che potrebbero esprimere.