La Corea del Nord detta le condizioni agli Usa e intanto arma la Birmania
29 Luglio 2009
La Corea del Nord apre al dialogo sul nucleare, ma detta le condizioni. Nel giorno dell’anniversario dell’armistizio di Panmunjon (27 luglio 1953), che mise fine alla sanguinosa guerra di Corea, il governo di Pyongyang si è detto finalmente disponibile a sedersi al tavolo delle trattative, ma solo con gli Stati Uniti. Respinta, dunque, la proposta del segretario di Stato americano, Hillary Clinton, sulla ripresa dei colloqui a sei (le due Coree, Usa, Cina, Russia e Giappone): “vi è una forma di dialogo specifica e riservata che risponde alla presente situazione” ha fatto sapere il ministero degli esteri nordcoreano, in una nota diffusa dall’agenzia ufficiale Kcna.
Un pensiero che l’ambasciatore della Corea del Nord, Sin Son-ho, aveva già avuto modo di esprimere nei giorni scorsi alle Nazioni Unite: "Non siamo contro i negoziati su questioni di interesse comune, ma riteniamo ormai chiusi i dialoghi a sei. ”Esiste una specifica e riservata forma di dialogo che può trattare la situazione attuale”, aveva detto Son-ho invitando all’apertura di un canale diretto tra Pyongyang e Washington.
I dialoghi a sei erano iniziati nel 2003, con l’intento di bloccare lo sviluppo del programma nucleare di Pyongyang. Nello scorso aprile, in seguito al lancio di alcuni missili, la situazione si è però complicata e l’Onu ha accresciuto le sanzioni contro la Corea del Nord. Pyongyang ha spiegato essersi trattato solo di lanci per mandare in orbita un satellite, ma la comunità internazionale – Usa e Giappone in testa – sono tutt’ora convinti che si sia trattato di esperimenti per il lancio di missili con testate nucleari.
L’importanza del sud-est asiatico nello scacchiere della politica internazionale del presidente Barack Obama non è affatto un mistero. Oggi, durante il dialogo strategico ed economico a Washington, l’ex senatore dell’Illinois ha invocato anche l’appoggio della Cina. ”Non vogliono la corsa agli armamenti nucleari” in Asia orientale, ha detto Obama.
Parole echeggiate fino a Seul e accolte con evidente preoccupazione dall’amministrazione sudcoreana: “Ci auguriamo che la Corea del Nord torni al tavolo a Sei al più presto", ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri, Moon Tae-young. "Noi non siamo contrari al dialogo tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti – ha aggiunto – purché nell’ambito di quello che Hillary Clinton ha spiegato durante la visita in Corea del Sud: sì ai colloqui, mantenendo una stretta concertazione con Seul".
Nei giorni scorsi, proprio la Clinton, appena messo piede in Asia, aveva parlato anche di una pericolosa collaborazione “militare” tra la Corea del Nord e il Myanmar. "La minaccia che ho sempre temuto come la prima e principale è la proliferazione di armi nucleari e di armi di distruzione di massa", aveva detto la Clinton durante un’intervista televisiva a Bangkok. "Quindi ovviamente siamo molto preoccupati per la Corea del Nord e per le recenti notizie sui loro possibili affari con quella che chiamiamo Birmania".
C’è il sospetto, infatti, che la Corea del Nord starebbe trasferendo al Myanmar tecnologia, strumenti e know-how per lo sviluppo di armi nucleari. Al momento, non esistono dossier che possano avvalorare la tesi, ma alcune fotografie degli enormi tunnel scavati appena fuori della giungla di Naypyidaw e il caso della fregata Kang Nam 1 (una nave sospettata di trasportare armi illegali che sembrava diretta verso la Birmania e che ha fatto dietro-front quando è stata intercettata dalla marina Usa) destano più di un sospetto.
Ma, al di là delle conferme su uno “spostamento” di armi nucleari dalla Corea del Nord al Myanmar, appare evidente che finora l’accondiscendente strategia della “mano tesa al nemico” di Obama ha portato a risultati positivi solo per il regime di Pyongyang, che da una parte continua a intavolare accordi “segreti” con gli alleati asiatici e dall’altra detta le regole del dialogo sul nucleare.