La corsa per la nomination Gop è ormai a due: Santorum vs Romney

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La corsa per la nomination Gop è ormai a due: Santorum vs Romney

23 Febbraio 2012

Negli Stati Uniti, i dibattiti televisivi tra i candidati delle primarie, quest’anno esclusivamente quelle Repubblicane, sono importanti e talora decisivi. È ovvio. I voti degli elettori, soprattutto quelli di cui si va a caccia nelle primarie in una logica di concorrenza diretta e frontale, vanno conquistati uno a uno. E come si fa a farlo con distanze geografiche praticamente incolmabili, soprattutto se i tempi sono ristretti e anzitutto quando occorrerebbe essere contemporaneamente in cento posti diversi nello stesso momento? Per questo le campagne “a distanza”, i dibattiti tivù, gli spot teleradiofonici e le robocall (le telefonate preregistrate con la voce automatica che ripete il messaggio di un candidato) diventano indispensabili.

Mercoledì 22 febbraio si è svolto l’ennesimo – il ventesimo – dibattito televisivo tra i candidati Repubblicani ancora in lizza, Mitt Romney, Rick Santorum, Newt Gingrich e Ron Paul. In diretta CNN (l’organizzatrice) da Phoenix, in Arizona, a una settimana dal voto che martedì 28 deciderà il destino delle primarie di Arizona e Michigan, si è tenuto l’ultimo confronto diretto prima di quello che molti attendono come “l’ora x”. Ovvero il “Super Tuesday” del 6 marzo, quando voteranno contemporaneamente 10 Stati e quindi l’intero corso delle primarie subirà – comunque – una svolta altamente significativa. Da qui ad allora non vi saranno, infatti, altri confronti così, dato che i dibattiti in origine calendarizzati per il 1° marzo in Georgia e per il 5 marzo alla Reagan Library di Simi Valley in California sono stati cancellati. Logico che mercoledì sera i candidati abbiano cercato di spingere l’acceleratore al massimo.

Del resto, al netto del fatto che entrambe le modalità sono comunque un bagno di folla diretto che giova ai candidati ma anche al pubblico, il grande vantaggio che i dibattiti tivù hanno rispetto ai comizi classici che si svolgono nelle piazze di borghi e città è che ai secondi la gente ci deve andare mentre per i primi sono i candidati che entrano nelle case degli elettori. Mercoledì sera, dunque, gli americani hanno assistito a molte cose, ma tutte sostanzialmente riconducibili a una sola cioè al confronto in tivù diretto tra due dei quattro candidati in corsa: Romney e Santorum. Cioè Romney contro Santorum, e viceversa. L’intera disfida, infatti, sembra via via ridursi solo a questa. Con un Romney che, perennemente accusato dagli avversari di non essere un vero conservatore, ha sferrato l’attacco a Santorum proprio su questo piano.

Santorum, ha detto Romney, non è un buon conservatore sul piano fiscale perché ha contribuito con il proprio voto parlamentare ad approvare la decisione d’innalzare il tetto costituzionale del debito pubblico; non è un vero conservatore culturale perché in un qualche modo recondito, indiretto e oscuro ha contribuito ad approvare norme che poi nei sottoscala e nei retrobottega hanno finito per far giungere qualche denaro anche al più noto abortificio del mondo (Romney ha cercato la sintesi estrema sparando che Santorum ha fatto finanziare la Planned Parenthood…); e non è nemmeno un vero conservatore sociale perché ha favorito l’ingrandimento anziché il dimagrimento del ministero dell’Educazione, una delle vere bestie nere, da sempre, della Destra statunitense. Mirabile auditu.

Romney ha cioè deciso di mostrare di superare Santorum a destra, e ha scelto di ritorcere contro il suo accusatore le forze di cui quegli dispone. Strategia perfetta. Se prosegue così, Romney guadagnerà punti; se prosegue addirittura meglio, sposterà su di sé consensi conservatori rilevanti. Del resto Santorum gli ha risposto per le rime, dispiegando altrettanta ottima strategia comunicativa. La notizia vera del dibattito tivù di mercoledì sembra infatti essere questa: i candidati hanno messo a punto la proprie tattiche, hanno oliato a dovere le armi, hanno scelto l’alzo di tiro corretto. E di fatto di quattro che erano al tavolo, due sono quelli che parrebbero oramai aggiudicarsi la palma dei veri duellanti. Certo, queste strane e affascinanti primarie del 2012 ci hanno già abituati a molti colpi di scena e a risurrezioni impreviste. Ma, man mano che si avvicina il “Super Tuesday”, è probabile che queste ultime si diradino. Nemmeno il “Super Tuesday” avrà, peraltro, il potere di farle scomparire del tutto, ma certamente le renderà così difficile da rasentare l’impossibile.

Ora, stando così le cose, quel che succederà nell’“intermezzo” del 28 febbraio sarà utilissimo per testare l’elettorato: si vota in due Stati della “provincia”, infatti, in cui, almeno potenzialmente, Santorum dovrebbe fare bene. Romney accusa il colpo, e corre (bene) ai ripari. Se Santorum però facesse bene in Arizona e in Michigan, ipotecherebbe – se non altro almeno propagandisticamente – una parte del risultato dello stesso “Super Tuesday” venturo. Il quale, sempre se Arizona e Michigan premiassero Santorum, presenterebbe alla fine un risultato davvero articolato, composito e complesso. E questa sarebbe una grande notizia. Perché vorrebbe dire che, qualora alla fine Romney ottenesse la nomination presidenziale Repubblicana, Santorum avrebbe accumulato tali e tanti crediti da poter chiedere in ritorno qualcosa di non banale. Sarebbe la più rosea delle prospettive: la concorrenza, pure spietata, mostrerebbe così tutte le proprie virtù pubbliche, e di questo beneficerebbero prima i Repubblicani, poi gli americani tutti.

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.