La Corte Costituzionale non apre alla fecondazione eterologa e fa bene
24 Maggio 2012
Mario e Michela sono una coppia sterile. Dalle indagini cliniche risulta un impedimento a procreare di Mario, che non consente in alcun modo di ottenere, neanche a fronte della più moderna tecnica di fecondazione artificiale, la tanto desiderata gravidanza. Il loro desiderio di genitorialità è talmente forte e profondo che Mario e Michela non possono sopportare l’esistenza di una legge che vincola alcune pratiche in materia di Procreazione medicalmente assistita, non riescono neppure a pensare ad un altro modo di essere genitori se non quello legato alla loro esperienza personale di figli. Non possono sapere che essere genitori vuol dire innanzi tutto dare amore, e quindi – ad esempio – che si possa amare anche un figlio adottivo.
Michela non vuole rinunciare al pancione, alle nausee, alle doglie del parto, all’allattamento. Mario non vuol neppure pensare di non assistere alla prima ecografia, a non essere lì nella sala parto a riprendere con la videocamera minuto per minuto il "momento più bello della sua vita". Nessuno dei due può accettare che una legge dello Stato, approvata a larga maggioranza dal Parlamento, e consacrata da un referendum popolare gli stia impedendo tutto questo. Il desiderio di Mario e Michela di essere padre e madre sono di gran lunga più importanti di qualsiasi legge. E allora bisogna fare di tutto: trovare un donatore di sperma e ricorrere a centri di sterilità non proprio ortodossi in cui è possibile anche quello che è vietato e, perché no, cercare di cambiare attraverso un iter giudiziario, a suon di sentenze, la stessa legge che pone degli ostacoli al loro sogno irrealizzato.
Mario e Michela, che sono due aspiranti genitori “consapevoli”, cominciano ad informarsi, sui migliori avvocati, sui migliori centri di Assistenza per questi casi. Leggono pareri, incontrano giuristi di fama nazionale, si confrontano con chi la pensa come loro e starebbe dalla loro parte, intercettano l’Associazione Luca Concioni di turno. Insomma, si corroborano nell’idea che impossibile è solo non ottenere quello che vogliono. E decidono, dopo notti insonni fatte di discussioni e tentennamenti, di dare battaglia. Si parte dai tribunali ordinari e poi, grazie ad un giudice particolarmente refrattario alle limiti etici di una legge, si arriva alla Suprema Corte.
La storia di Mario e Michela è una fattispecie. Il resto è cronaca dei giorni scorsi. I giudici della Consulta, chiamati a decidere sulla base di tre ordinanze di rinvio dei tribunali civili di Milano, Firenze e Catania sulla costituzionalità degli articoli della legge 40/2004 che riguardano la fecondazione assistita, che prevedono il divieto di fecondazione eterologa, ossia con ovociti o gameti non appartenenti alla coppia, hanno rimandato gli atti ai tribunali che avevano promosso i ricorsi. Prendendo tempo e dando indicazione di valutare la questione alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 3 novembre 2011 secondo la quale impedire per legge alle coppie sterili di ricorrere alla fecondazione in vitro eterologa non è una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Insomma, i singoli tribunali dovranno decidere ancora ma nel frattempo resta in vigore il divieto della tecnica eterologa
Una sconfitta o una vittoria? Per Mario e Michela certamente si tratta di una “parziale” sconfitta. Il giudice non ha di fatto detto no alla fecondazione eterologa ma ha senz’altro allungato i tempi perché si possa ribaltare il tavolo della legge. E, si sa, il tempo, l’età, nel mettere al mondo un figlio ancora conta qualcosa. Però per i paladini del diritto a procreare a tutti i costi ci sono ancora speranze. Basta trovare un giudice consenziente e protagonista.
Per i giudici dei tribunali che hanno formulato i loro quesiti alla Corte una sconfitta: si sono avvalsi, non si sa se per imperizia o per eccesso di ideologia, di una sentenza europea non definitiva. E certo ora la strada per un nuovo ricorso è tutta in salita e sembra difficile che si possa giungere a stravolgere la legge 40 al punto di svuotarla di ogni senso giuridico.
Ma dei nuovi nati che sarebbero stati concepiti secondo le tecniche di fecondazione eterologa se la Corte non avesse rimandato la decisione che cosa si direbbe oggi?
Troppo spesso quando ci si trova di fronte al disperato desiderio di una persona, di una coppia di procreare, ci si mette, naturaliter, dalla parte della vita che si vuol donare. Senza scomodare troppo i principi del cristianesimo, però, è necessario che una riflessione si faccia da un punto di vista giuridico. Quali diritti verrebbero riconosciuti a questi bambini nati? Chi li rappresenterebbe? Chi li tutelerebbe? Potrebbero forse conoscere il modo in cui sono nati? Chi sono i genitori? Sapere, ad esempio, se hanno due padri e una madre, o due padri e due madri? Avrebbero diritto di sapere perché hanno gli occhi celesti, perché sono bassi, perché sono daltonici, perché mai soffrono di malattie che solo un’indagine sul Dna potrebbe spiegare? Avrebbero diritto di sapere chi sono i loro fratelli di sangue, chi i cugini, i nonni veri? Potrebbero sapere se la loro fidanzata, quella che sono in procinto di sposare e con cui vorrebbero a loro volta fare dei figli, è una lontana parente? Chi dovrebbe rispondere loro? I genitori, si dirà. Ma quali?