La Corte fa “giustizia” e il caso Sandri riapre la guerra tra ultras e polizia
15 Luglio 2009
E’ l’11 novembre 2007. Poco prima delle 9 del mattino, un’auto di tifosi juventini nel piazzale di sosta dell’area di servizio di Badia al Pino, viene avvicinata da alcuni supporter laziali armati di spranghe. Si crea tensione, nasce una violenta colluttazione, tanto che il fatto richiama l’attenzione di due pattuglie della Polstrada, che si trovano sul piazzale dello stesso autogrill ma dall’altra parte della carreggiata, a oltre 50 metri di distanza. Gli agenti, tra cui c’è anche Luigi Spaccarotella, sentono rumori e grida e decidono di intervenire, in primo luogo azionando le sirene delle loro auto, ma nonostante ciò la rissa continua. L’agente Spaccarotella allora decide di sparare in aria per attirare l’attenzione dei contendenti, esplode due colpi e un proiettile raggiunge al collo di Gabriele Sandri che sta seduto sul sedile posteriore di una Megane Scenic.
L’auto parte, gli amici a bordo si accorgono che Gabriele sta male, rantola, si fermano al successivo casello, 4-5 chilometri più a nord, e chiamano il 119. Lì li raggiunge la volante, arriva anche l’ambulanza, si cerca di rianimare il giovane, ma non c’è nulla da fare, il ragazzo è già morto e il suo corpo senza vita resterà a lungo sdraiato su sedile posteriore dell’auto. Per lui non c’è più speranza. Se non quella di ottenere giustizia.
Una giustizia che sarebbe dovuta arrivare nel tardo pomeriggio di ieri. Quando i giudici della Corte di Assise di Arezzo hanno letto la sentenza di colpevolezza di Luigi Spaccatorella. In primo grado di giudizio l’agente della Polstrada che ha sparato colpendo a morte Gabriele Sandri è stato ritenuto colpevole e condannato a sei anni di reclusione. La sentenza è di omicidio colposo. Nessuna volontarietà, dunque. Spaccatorella sparò, ma senza voler uccidere Gabriele. E per questo la colpa è meno grave. Tanto meno grave che, probabilmente, l’agente di polizia toscano non sconterà nemmeno un giorno in carcere.
Ai giudici della Corte di Assise di Arezzo sono bastate otto ore in Camera di Consiglio per chiudere, almeno per ora, un caso di omicidio che ha tenuto i tifosi si tutte le squadre di calcio, per una volta, schierati sugli stessi spalti. Tutti uniti a chiedere giustizia per Gabriele. Ma quella giustizia, per loro, per la famiglia Sandri, e per il pm, Giuseppe Ledda, che aveva chiesto 14 anni per omicidio volontario, ieri non è arrivata. "E’ una vergogna per tutta l’Italia, non credo più alla giustizia, provo amarezza, sconforto, faremo appello, andremo fino all’ultimo grado di giudizio" ha detto Giorgio Sandri, il papà di Gabriele. "Credo molto nella giustizia divina – ha aggiunto – che penserà a Spaccarotella, a quella non potrà sfuggire senz’altro. Hanno ammazzato mia moglie un’altra volta, hanno ammazzato mio figlio".
In un’aula di tribunale, che per un attimo sembrava trasformata in un campo in cui si gioca il peggior calcio, c’era chi esultava e chi prometteva vendetta. "Piango di gioia – ha detto Spaccatorella – ho fatto bene a credere nella giustizia, è stata una sentenza che non mi aspettavo, siamo tutti contenti". "Questa sentenza è una vergogna” – hanno urlato i supporter laziali amici di Gabriele presenti in aula. “Ai poliziotti è permesso tutto! Un cittadino normale avrebbe preso 20 anni, come è giusto che sia". E intanto i tifosi biancoazzurri preannunciano la loro battaglia, che, c’è da scommettere, purtroppo, che non si giocherà né a viso scoperto né ad armi pari.