La Corte suprema americana ha detto ‘sì’: Obamacare è costituzionale

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La Corte suprema americana ha detto ‘sì’: Obamacare è costituzionale

La Corte suprema americana ha detto ‘sì’: Obamacare è costituzionale

28 Giugno 2012

Mons. William E. Lori, arcivescovo di Baltimora, lo ha detto ieri mattina a Roma, presentando all’Associazione della Stampa Estera l’Osservatorio della Libertà Religiosa, promosso dal Ministero degli Esteri e finalmente istituito anche in Italia. Nell’era di Barack Obama, gli Stati Uniti stanno perdendo quella passione tutta americana per la libertà religiosa.

Ieri, infatti, 28 giugno, la Corte Suprema federale di Washington che statutariamente ha solo il sacrosanto ma limitatissimo potere di vegliare sulla costituzionalità delle leggi, e che invece da decenni ne ha accumulate tante e troppo da farsi perdonare, ha sentenziato che la riforma sanitaria voluta dalla Casa Bianca, il cosiddetto “Obamacare”, va bene e dunque può continuare indisturbato il proprio tempestoso cammino.

Fa niente se viola la clausola costituzionale sul commercio, pazienza se lede il fondamento primo su cui si regge tutto l’impianto civile statunitense (l’intangibile diritto alla libertà religiosa dei cittadini), vabbè se viola la coscienza della stragrande maggioranza degli americani imponendo per legge l’accesso, gratuito per i fruitori ma pagato dai loro datori di lavoro, a pratiche avvilenti per il controllo delle nascite spacciate, con pusillanimità esagerata, per “cure mediche”.

Oggi la Corte Suprema ha detto sì, con un verdetto di 5 contro 4. Cinque a quattro è dunque la fotografia di com’è spaccata oggi la Corte Suprema, vale a dire il risultato classico, prevedibile e scontato prodotto dalla composizione interna di quel supremo organo giuridico? I giudici della Corte Suprema federale del Paese sono infatti, presidente della Corte compreso, 9.

Cinque sono da tempo di orientamento liberal, mentre quattro, presidente compreso, sono di orientamento conservatore, cosa che in quell’ambito significa anzitutto che i primi vogliono una Corte Suprema attivista e legiferatrice, mentre che i secondi mirano a mantenerla entro i ranghi per essa pensati ab origine dalla Costituzione federale (e così è, lo si ricordi, giacché il presidente George W. Bush ci mise bene del proprio, nominando, quando ne ebbe la possibilità, giudici, presidente compreso, di destra, e per di più cattolici).

No, invece; purtroppo non è così. Non è andata affatto che i 5 liberal hanno sconfitto i 4 conservatori. È andata che 3 conservatori sono stati affiancati da un liberal come il giudice Anthony Kennedy (nessuna parentela con il famigerato clan del Massachusetts), il quale, progressista sì ma cattolico pure, ha subito tutto il sublime e incontenibile fascino del “richiamo della foresta” (al momento opportuno ne farà i conti con il suo Jack London…), e così si è schierato per la bocciatura dell’“Obamacare”. E poi che, al contrario, sull’altro versante, i 4 liberal rimasti si sono visti regalare la vittoria ai punti e di stretta misura nientemeno che dal presidente della Corte Suprema, il giudice John G. Roberts, uno dei due granitici conservatori cattolici nominati da Bush jr.

Colpo improvviso di canicola estiva? No, solo colpa della tecnica, colpa della maledetta tecnica, la quale da ancella serve ottimamente, ma da padrona è una vera sciagura.

Roberts ha pesato e soppesato la questione. L’ha girata e rigirata. E alla fine ha stabilito che sì, l’“Obamacare” infrange la clausola sul commercio della Costituzione federale, quella che impedisce al Congresso ‒ l’organo legislativo ‒ d’imporre ai cittadini i prodotti da comperare obbligatoriamente, ma che comunque "[…] è ragionevole interpretare quanto fatto dal Congresso come un aumento delle tasse imposto a chi gode di un certo reddito ma pure sceglie di non dotarsi di un’assicurazione sanitaria. E una provvisione così rientra nel potere d’imposta del Congresso".

Il danno, insomma, e la beffa. Parlando squisitamente sul piano tecnico, Roberts ha ragione da vendere. Ma alla fine della fiera succede che una legge oggettivamente immorale e vessatoria, dannosa e costosa, inefficace e svilente, voluta sola per becero populismo e per motivi di bassa propaganda politica dalle Sinistre americane, passa per volontà di un conservatore che si limita a osservare scrupolosamente la legge senza pensare di alzare un attimo lo sguardo e fissare in faccia la realtà.

Non conoscessimo Roberts, lo accuseremmo di positivismo giuridico. E pure d’illuminismo. E come non notare, poi, che, ancora una volta, una grande calamità si abbatte sui cittadini in mera virtù di quel potere di tassare, ipertassare e tartassare che sta diventando l’arma preferita del totalitarismo per avanzare sornione ma inesorabile nelle società democratiche?

La decisione del giudice Roberts è sul serio una doccia fredda che davvero nessuno si attendeva. Lo stesso Obama, da tempo, manteneva un profilo bassissimo sulla riforma sanitaria, cioè su quel suo cavallo di battaglia che però aveva finito per disarcionarlo. Oramai Obama la citava poco, non ne parlava, nel discorso sullo Stato dell’Unione la toccò solo di striscio. Perché Obama, che tutto è tranne uno sciocco, sa bene che la sua riforma sanitaria e una misura impopolare, antiamericana e anticostituzionale. Lo stesso Roberts, arrampicandosi sui vetri, l’ha del resto definita “costituzionale solamente un po’”…

Ora però, grazie a questo aiuto inaspettato, Obama diventerà il miles gloriosus di Plauto, menando fendenti a manca e soprattutto, ovvio, a destra. Adesso l’“Obamacare” redivivo tornerà il tema dominante della campagna elettorale, e sarà difficilissimo sconfiggere la Casa Bianca in cerca di rielezione su questo piano. Anzitutto perché, a torto o a ragione, lo sfidante Mitt Romney è accusato da una buona parte dei conservatori di avere a suo tempo varato nel Massachusetts una fotocopia solo un po’ sbiadita proprio dell’“Obamacare”; in secondo luogo perché l’endorsement del conservatore e cattolico Roberts è un asso nella manica pressoché imbattibile.

L’unica chance di uscirne è che ora Romney si strappi camicia bianca e cravatta scura mostrando al mondo la t-shirt da Superman che vi si cela sotto e inventandosi campione irriducibile dei conservatori detti “sociali”, delle Chiese” e dei “liberisti” sfrenati, onde trasformare la vittoria che oggi ottiene il suo rivale in una sconfitta cocente domani. Per certo, l’unica cosa che non deve fare è la vittima.

Sì, oggi i “four more years” di Obama sono più vicine di ieri, ma da domani sarà importante vedere come gli risponderanno le Chiese e i gruppi religiosi, quella cattolica in testa. Ma che, per semplice colpa di un orpello tecnico-tecnocratico in materia di esagerazione fiscale, il più acerrimo nemico dei conservatori (e dei cattolici) venga rieletto da un gran pezzo di conservatore (e di cattolico) qual è il giudice Roberts è un film che non avremmo mai voluto vedere (e, Signor Giudice, non le vogliamo un mucchio di bene sempre e comunque, ma sappia il Jack London di cui sopra sta aggrottando le ciglia…).

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana