La crisi della classe media sfida il sistema bancario
10 Aprile 2019
Mai come in questa fase della storia una classe sociale è studiata e analizzata in ogni suo dettaglio ed evoluzione. Recentemente se ne è occupato anche The Bunker, il mensile inglese di affari finanziari del Financial Times. Questa attenzione che si registra in tutto il mondo è, forse dovuta al fatto che la classe media è sotto pressione, in profonda crisi se non addirittura a rischio scomparsa. E’ questo uno degli effetti più evidenti della rivoluzione tecnologica di inizio millennio che sta incidendo direttamente sulla struttura della società capitalistica dopo solo poco più di un secolo di vita nella sua conformazione attuale. La profonda trasformazione della tecnologia se da una parte crea posti di lavoro altamente qualificati e, dunque, anche molto ben retribuiti per i più istruiti, per i lavori meno qualificati e meno retribuiti, sono sempre maggiori le difficoltà a resistere e sopravvivere a questi cambiamenti e così i lavori a medio reddito vengono schiacciati quando non riescono a spostarsi in altri settori a partire da quello dei servizi che però non è strutturalmente in grado di assorbirli tutti. Il saldo quantitativo, tra “vecchi” posti di lavoro cancellati e “nuovi” posti acquisiti, non può che essere in passivo.
E’ un fenomeno che, con grande rapidità, si sta diffondendo tanto nei paesi in via di sviluppo quanto in quelli più avanzati e che è, di fondo, uno dei motivi per i quali non si intravede una via d’uscita alla lunga stagione di stagnazione nella quale versa l’economia occidentale e un inversione di tendenza consistente rispetto all’alto tasso di disoccupazione. L’altra grande preoccupazione di questa fase che ne discende è che presto la strada del lavoro a basso costo, anche nei mercati emergenti, non sarà più disponibile poiché la produzione sarà interamente automatizzata e spostata in paesi ad alto costo che coincidono però con i mercati finali dei prodotti. E’ un fenomeno imponente i cui effetti non vanno sottovalutati e che sfidano anche il settore creditizio.
Le banche stanno, infatti, scoprendo che una buona parte della loro base di clienti è in declino rispetto agli standard di vita e alle prese con serie difficoltà finanziarie. Per questo hanno iniziato a studiare questa tendenza e a pensare all’impatto che questo svuotamento avrà sulla composizione della propria clientela e, di conseguenza, sui profitti e sulla loro stessa esistenza. E’ però importante, in questa ricerca, avere presente che non basta affrontare il problema limitandosi alla riduzione dei costi attraverso la trasformazione digitale e mettendo così in atto scelte che sembrano risolvere il problema nel brevissimo termine e in un ambito dimensionale estremamente limitato. Su scala globale e in tempi medi, neanche molto, in realtà, lo aggravano, diventandone parte. Lo sviluppo di prodotti di risparmio e di prestiti agevolati da impiegare quando i clienti subiscono tagli di reddito temporanei o permanenti è sì necessario ma, anche in questo caso, serve più che altro a tamponare delle emergenze. La classe media ha bisogno di una banca che soddisfi le proprie esigenze come avviene per i ceti ai vertici della piramide sociale.
Le banche che progettano a lungo termine e hanno tra i propri obiettivi quello di favorire l’inclusione finanziaria e giocare, dunque, un ruolo attivo nelle trasformazioni sociali affinché queste non siano portatrici di pericolosi quanto dannosi sommovimenti sociali, avranno sicuramente un ruolo importante nel prossimo futuro. Potranno, infatti, raggiungere un obiettivo sociale e, nello stesso tempo, ricavare rendimenti più congrui per la propria sopravvivenza. Queste banche esistono e sono le banche che non hanno come solo ed unico obiettivo da raggiungere, qui, ora e in tempi immediati, i più alti profitti possibili. Sono le banche che in questi anni hanno tenuto dritta la rotta per arginare gli effetti recessivi del ciclo economico creando un forte, quanto naturale, legame con il resto del mondo della cooperazione, con il Terzo Settore, con il no-profit, con le istituzioni senza fini di lucro, attraverso scelte sostenibili e sociali di finanza etica, di sostegno all’economia reale, alle piccole e medie imprese, alle famiglie. Quel legame, nato come naturale conseguenza di resilienza, ha permesso la sopravvivenza di un mondo che, almeno in Italia, ha contribuito a una non scontata tenuta del tessuto sociale. Oggi, quel legame, quel modello di “fare banca” legato alle esigenze di territori e comunità è un modello per il futuro del sistema finanziario ed economico, è un modello funzionale alla tenuta sociale.
*Segretario Generale, Associazione Nazionale fra le Banche Popolari