La crisi dell’Europa dipende da una pessima architettura istituzionale

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La crisi dell’Europa dipende da una pessima architettura istituzionale

11 Luglio 2012

‘Europa senza guida, Italia senza sovranità’. No, non si tratta di un mero slogan pseudo o para elettorale, bensì del convegno promosso nella giornata di ieri dalla Fondazione Magna Carta presso la Biblioteca ‘Spadolini’ a Roma. Incontro incentrato sulla presentazione del dossier dell’Osservatorio Politico Economico diretto da Antonio Pilati. Un documento volto ad individuare le inefficienze istituzionali della governance comunitaria scaturita dai Trattati di Maastricht del 1992 e di Amsterdam del 1997 e le possibili soluzioni alla grave crisi economico-finanziaria (e politica) in atto. In questo senso, s’è cercato di esaminare con estrema dovizia di particolari quanto già prospettato da ‘Il manifesto per una nuova Europa’ redatto da alcuni importanti esponenti del centro-destra italiano ed europeo e pubblicato sul Corriere della Sera del 7 Giugno scorso.

Nella sua introduzione, Antonio Pilati ha voluto porre l’attenzione su taluni temi, difficilmente controvertibili, legati a doppio filo alla crisi di sistema. Una pessima architettura istituzionale dell’Unione europea, infatti, ha accresciuto il divario tra i Paesi membri. Maastricht prima ed Amsterdam poi hanno consegnato ai cittadini europei il dramma di una moneta (l’euro) senza alcuna difesa. In altre parole, senza Stato.

Gianni De Michelis, anch’egli tra i relatori, s’è subito affrettato ad affermare un dato: l’integrazione politica europea era stata prevista eccome, e congegnata nel senso della condivisione dei debiti di singoli Paesi dell’Ue dopo la nascita dell’euro. Essa si sarebbe dovuta raggiungere ad Amsterdam. In quel caso, però, divenne decisivo il niet tedesco e non se ne fece nulla.

Quindi, un assetto istituzionale simile, di natura ibrida ed assolutamente anomala non ha potuto non favorire il processo egemonico dei Paesi dell’Unione più forti. Meglio, della Germania. Mentre l’Italia, come noto ai più, è stata costretta a sedersi al tavolo dei più vulnerabili, assieme agli altri partner dell’Europa mediterranea. Fonte di debolezza, neanche a dirlo, l’enorme debito pubblico accumulato nel corso dei decenni. Alcuni dati: 1.935 miliardi di euro, 123% in rapporto al Pil e una spesa per interessi superiore, e di molto, all’avanzo primario. Per tali motivi, un intervento di drastica riduzione del debito pubblico appare alla stregua di una vera e propria necessità.

E’ Rainer Masera, già ministro del Bilancio e della Programmazione Economica nel governo Dini nonché ordinario di politica economica all’Università Guglielmo Marconi, a delinearne i contenuti: ‘swap di debito con patrimonio’. Ossia, trasferimento diretto dal patrimonio pubblico ai detentori del debito. Come? Semplice: il ministero dell’Economia offrirebbe mediante un’offerta pubblica di scambio, la possibilità, ai soli detentori del debito, di scambiare obbligazioni con le azioni di una società appositamente costituita, cui sono conferiti gli immobili oggetto della dismissione. Il motivo di un’operazione del genere è presto detto: trasferire direttamente ai detentori del debito la proprietà del patrimonio oggetto di dismissione.

Sulla stessa lunghezza d’onda, Mariastella Gelmini. Tra i ‘compiti a casa’ da condurre assolutamente in porto, non v’è solo la spending review di derivazione governativa ma anche, e soprattutto verrebbe da dire, il tema dell’abbattimento del debito. In questo senso, a settimane – se non addirittura a giorni – il Pdl dovrebbe presentare un piano di dismissioni nel solco di quanto già paventato lo scorso settembre prima della caduta del governo Berlusconi dal piano Reviglio-Tremonti. Sotto l’aspetto diplomatico, invece, per il già titolare di Viale Trastevere, l’azione di Mario Monti a Bruxelles è senza alcun dubbio da considerarsi positiva. Eppure, i risultati ottenuti dall’esecutivo italiano non appaiono ancora sufficienti: regolamentazione e vigilanza del sistema bancario, riforme dei sistemi sociali per l’armonizzazione del welfare ed eurobond, sono alcune delle ricette dell’ex ministro per contrastare la crisi dell’eurozona.

Last but not the least, gli interventi di Gaetano Quagliariello e Maurizio Sacconi. Per il vicepresidente  dei senatori Pdl e Presidente d’Onore di Magna Carta, dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Europa è stata tanto lungimirante da porsi l’ambizioso obiettivo della nascita di una moneta unica, quanto dissennata nel non comprendere a fondo il principio secondo cui senza validi strumenti di tipo politico e finanziario per difenderla, quella moneta sarebbe crollata. Così, da due decenni a questa parte, oramai, stiamo assistendo attoniti alle devoluzioni di sovranità degli Stati nazionali (Pilati nella sua introduzione al dossier parla di dispersione, ndr) senza un vero recepimento degli organismi comunitari. Il Pdl e il centro-destra, per Quagliariello, dovrebbero farsi carico di rilanciare – per le prossime elezioni politiche del 2013 – una proposta europea. E perché no, fare propria quella dell’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer: la creazione di una Camera bassa, limitata all’eurozona, ove siano rappresentati i membri della maggioranza e dell’opposizione di ciascun Stato nazionale. Una proposta capace, se non di risolvere, quantomeno di mitigare quel deficit democratico dell’Unione più volte denunciato.

Infine, l’intervento di Sacconi, teso ad esaltare il sistema imprenditoriale italiano, il fare comunità tipico del nostro Paese da anteporre e in chiara antitesi alla tecnocrazia europea (ed italiana) fonte di non poche criticità.

Insomma, idee, percorsi, domande e possibili risposte. “Occorre aggiustare la casa che abbiamo”, ha dichiarato Antonio Pilati durante l’intervista a L’Occidentale. La casa, occorre dirlo, non è più solo l’Italia. E’ in gran parte l’Europa.