La crisi di mezza età dell’Europa

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La crisi di mezza età dell’Europa

26 Giugno 2007

La rabbia della Merkel fa ripartire l’Europa. Il vertice di Bruxelles fotografa un’Europa poco spregiudicata e senza voglia di correre rischi. Una cinquantenne in crisi di mezza età dominata da giovani paure che soffiano dall’Est, frutto di un allargamento forzato e risultato forzoso.  Ma nonostante l’arretramento eppur Bruxelles si muove. All’indomani del braccio di ferro tra Lady Merkel e i gemelli polacchi – che tanto ricordava il Consiglio Europeo tenuto nel Castello sforzesco da Craxi nel 1985 è arrivata all’alba l’intesa sul trattato. Un trattato che nasce tra le rose, quelle offerte a sorpresa dal Presidente della Commissione Barroso ad una affaticata Merkel che gradisce e finalmente sorride.

Come le rose, il trattato ha le sue spine. Di positivo vi è che riforme che entreranno in vigore nel 2009 hanno abolito le presidenze a rotazione semestrali in cambio di un presidente fisso in carica per due anni e mezzo rinnovabile una volta su designazione. La funzione di presidente sarà inoltre incompatibile con altre cariche nazionali. Dal 2014 – vincendo con il fattore T, (quello del tempo, caro alla Merkel) le resistenze di Varsavia –  entrerà in vigore il sistema di voto a doppia maggioranza che sostituisce il sistema attuale approvato a Nizza. Per decidere, dunque, in futuro il Consiglio dell’Unione Europea dovrà disporre del 55% di ‘Si’ degli Stati rappresentanti e ottenere almeno il 65% di ‘Si’ della popolazione. Tuttavia fino al 2017 ogni Stato potrà chiedere di tornare al Sistema di Nizza per ogni votazione.

 L’unanimità resta prevista per la politica estera, sicurezza sociale e fisco mentre per 45 settori (inclusi quelli della cooperazione giudiziaria e della politica economica) é stata introdotto il criterio della maggioranza qualificata. Tuttavia  per consentire l’accordo con la Gran Bretagna, Londra é stata dotata di una scorciatoia da percorrere ogni volta riterrà opportuno, attraverso la formula dell’ opt out che prevede l’esenzione dalla decisione.  Formula prevista per il Regno Unito anche per i diritti fondamentali previsti dal Trattato e divenuti vincolanti. La vera vittoria di Londra risiede tuttavia nella più grande sconfitta europea: la rinuncia dell’Unione a dotarsi del ministro degli esteri. L’Alto rappresentante per gli Esteri e la sicurezza che ritrova intatto il suo nome esce solo in parte rafforzato in quanto dal 2009 in avanti coinciderà con il vicepresidente della Commissione rispondendo ai governi nazionali. Una vittoria di Pirro per la politica estera europea che conferma come i tempi non siano ancora maturi per difendere insieme l’Europa.

Il successo della Merkel  – in parte annacquato rispetto alle ambizioni iniziali –  resta tangibile nel mandato blindato che evita ulteriori lanci al ribasso. Una Merkel europeista nei fatti per essere riuscita fino alla fine – malgré le evidenti provocazioni dei due gemelli dal cognome impronunciabile – a sedare lo spirito nazionale storicamente anti polacco,  a salvaguardia dell’ intera logica comunitaria.

Un cancelliere impegnato a tenere a freno l’euroscetticismo britannico disposto, paradossalmente, a scendere a compromessi pur di evitare il ricorso al referendum nazionale e fortemente deluso dal rigurgito nazionalista della Francia. Sarkozy delude Bruxelles cancellando la parola competizione e concorrenza dalla prima parte del trattato e mostrandosi più francese di Chirac. Dopo essere volato a Berlino a omaggiare la Merkel prima di ringraziare i propri elettori, Sarko si ricorda che «bisogna ascoltare la voce del popolo». Peccato che in questa circostanza si tratti di quello francese e non di quello europeo in via di costruzione. Anche se in termini puramente pratici la decisione di togliere il termine competizione non modifica né riduce i compiti dell’Antitrust, le parole in politica contano come fatti e viene di conseguenza modificata l’agenda politica.

Se prima della zampata francese concetti quali ‘mercato unico’ e ‘tutela della concorrenza’ figuravano tra i primi posti ora finiscono in coda. Ma vi é anche chi fa peggio del protezionista Sarko e del cinico Blair che pur giocando al ribasso mantengono un ruolo chiave, costituendo insieme all’operosa Merkel un direttorio a tre. A tre e non a quattro perché a Bruxelles tutti hanno avuto voce, hanno espresso critiche e speranze. Tutti  tranne l’Italia che ha improvvisamente scordato il proprio passato europeista, pur essendo rappresentata da un ex presidente di commissione europea. Ma dell’Italia, delle scelte e decisioni italiane a Bruxelles non si conserva traccia pur essendo forse il Paese ad averne oggi più bisogno.