
La crisi è una chance del Sud Europa per fare più cooperazione (militare)

02 Dicembre 2011
di E.F.
Le crisi internazionali portano in dote dolore e cambiamento, globali o regionali che siano. Il dolore e l’affanno per chi perde status politico. Quanto al cambiamento, in politologia internazionale va spesso sotto il nome di ‘redistribuzione del potere relativo tra gli attori in gioco’. Definizione leziosa ma precisa.
La crisi del debito sovrano europeo – nella sua declinazione ‘crisi fiscale dei paesi mediterranei’ – apporterà una redistribuzione di potere nelle relazioni fra gli Stati Europei, in particolare tra Nord e Sud, ripercuotendosi inevitabilmente anche sul peso politico che i paesi del Sud Europa avranno in futuro nel Mediterraneo. Riguarda l’Italia – ma non solo l’Italia – e non c’è da stare allegri.
La Germania sta emergendo come maggiore attore regionale europeo, tanto sull’area Baltica che in Europa centrale e balcanica, con l’obiettivo neanche tanto velato di condizionare il destino delle traballanti nazioni mediterranee integrate nell’Unione Europea – in particolare Italia, Spagna, Portogallo e Grecia – attraendole politicamente a sè, con l’aiuto della Francia.
Anche il grimaldello comunitario fa parte della brutta faccenda e c’è da aspettarsi che Berlino tenda sempre più a farne uso, al fine di pesare sempre di più nella politica interna di questi paesi (basti pensare alla genesi dei governi Monti in Italia e Papademos in Grecia).
Spiace a tutti perdere sovranità. Ora, siamo di fronte a un processo ineluttabile? Certo che no. In politica l’ineluttabile è solo una delle tante manifestazioni di una volontà di non-fare (la passività è un’azione a tutti gli effetti); se ciò è vero, un’azione uguale e contraria è altrettanto possibile. Forse politicamente doverosa a questo punto. Per intenderci: reagire alla ‘germanizzazione’ in corso è possibile.
Se il collasso dell’Euro è un lose-lose game, è vero anche che quando tutto sarà crollato qualche edificio sarà ancora in piedi. Rispolverare il vecchio adagio "l’unione fa la forza" e alambiccarsi il cervello per cambiare lo stato di cose può essere una soluzione.
Prima di tutto bisogna definire ciò che le quattro nazioni euro-mediterranee possano compiere assieme per evitare una marginalizzazione economica, commerciale, militare, culturale – e in ultima istanza – politica e sociale, che nel medio-lungo periodo ridimensionerà anche la prosperità delle proprie genti. La risposta a questa domanda è una sola: fare cooperazione. Una cooperazione rafforzata che passi per l’individuazione di priorità comuni.
Un capitolo tradizionale di cooperazione interstatuale è quello della sicurezza. La crisi fiscale che attraversa l’Europa del Sud si ripercoterà certamente sul modo in cui i governi di Roma, Madrid, Lisbona e Atene spenderanno in difesa per rispondere alla proprie prerogative di sicurezza nazionale. Questi tagli alla difesa certamente condurranno al ridimensionamento delle rispettive proiezioni geostrategiche.
Per l’Italia si tratterà di rinunciare al concetto di Mediterraneo allargato. Per la Spagna idem, più la sua proiezione atlantica in Sud America. Il Portogallo dovrà rinunciare alla proiezione sull’Atlantico Meridionale e la Grecia avrà difficoltà a mantenere in piedi la sua silenziosa confrontation marittima con la Turchia.
Bref, il rischio è che le nazioni europee meridionali escano dalla Storia, subiscano il cambiamento e non siano più in misura di difendere le proprie rispettive aree d’influenza. Ciò avverrebbe peggiore dei momenti: il Mediterraneo è attraversato da grandi mutamenti – si pensi solo alle rivolte arabe e alle ripercussioni politiche che esse stanno imprimendo al corso storico di paesi come Egitto, Libia e domani la Siria. Si aggiunga a ciò il riemergere di un attore che è stato per secoli al centro di una politica di contenimento da parte proprio dei paesi europei oggi in difficoltà: la Turchia.
La Turchia ri-ottomanizzata di Recep Erdogan aumenta di giorno in giorno il proprio potere in Nord Africa. Fa soft power in Medioriente ed è proiettata strategicamente in un’area che va dal Turkmenistan alla Bosnia. Intrattiene ottime relazioni con Russia, Brasile, Sud Africa, Cina e India. E’ forte, rispettata, con un’economia in sostenuta espansione, un esercito numeroso e ben equipaggiato, un trend demografico che farebbe dormire sonni tranquilli a qualsiasi governante di media salute psichica.
Si dirà: “Qual è l’idea? Mettere insieme i paesi straccioni dell’Europa meridionale per fare cosa? Contenere la Turchia che gioca a fare la politica di potenza?”. Non si tratta di questo. Si parla piuttosto di prendere atto, reagire e proteggere le posizioni del Sud Europa visto che gli unici due attori statuali che nell’euro-mediterraneno rimarrebbero in piedi qualora l’edificio dell’Euro andasse giù, sarebbero la Germania e la Turchia i cui rispettivi governi finirebbero per costruire una piccola Yalta ancora una volta nei Balcani.
Come nel xvii sec. la Spagna deteneva il Mediterraneo Occidentale e la Turchia il Mediterraneo Orientale, oggi con la crisi la Germania conquisterebbe commercialmente (e dunque politicamente) il suo agognato accesso al Mediterraneo, uno dei tanti accessi a cui Berlino ambisce e la Turchia finirebbe per riprendersi il suo posto nelle faccende balcaniche, oltre alla lenta riconquista in quelle nord-africane, mediorientali e centro-asiatiche.
L’emergere di questo vecchio-nuovo scenario deve far riflettere i governi d’Italia, Spagna e Grecia e indurli all’azione. Il primo banco di prova potrebbe essere sulla Grecia: la penisola ellenica è attualmente in serie difficoltà a causa dall’attuale crisi fiscale dell’eurozona. A capo dell’esecutivo sta ormai un tecnocrate, dipende dalle erogazioni del Fmi e dell’Ue per pagare pensioni, stipendi e mantenere la baracca statuale in piedi. E’ isolata sul piano diplomatico.
Ciò però non fa venir meno il suo essere Stato e dunque la sua sicurezza nazionale deve essere garantita: Atene deve potere continuare a tenere in piedi un controllo dell’Egeo, di Corfù, Creta e Rodi e deve difendere Cipro. Il mantenimento di questi imperativi strategici è ovviamente nell’interesse nazionale greco, ma in proiezione lo è anche per quelli di Spagna, Italia e Portogallo.
Non è eretico pensare che per far fronte a questa situazione, l’Italia assieme alla Spagna, al Portogallo e alla Grecia appunto possano dare vita ad esercitazioni militari comuni nel quadro di un dispositivo diplomatico extra-europeo tutto nuovo sui mari dell’Egeo, dello Ionio, dell’Adriatico e del Mediterraneo orientale e occidentale (ovviamente avvertendo preventivamente Washington per evitare la lesa maestà e mandando un dispaccino a Vladimir Putin per cortesia).
Una lenta integrazione delle marine euro-mediterranee darebbe il la anche a un aumento dell’integrazione delle rispettive forse marittime in vista della gestione di un altro grande processo comune a noi paesi euro-mediterranei: l’immigrazione.
Fine terza puntata. Continua…