La crisi siriana rischia di incendiare l’intero Medioriente

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La crisi siriana rischia di incendiare l’intero Medioriente

30 Giugno 2012

Se non è guerra poco ci manca. Giovedì scorso, la Turchia ha cominciato a rafforzare lo schieramento militare lungo il confine con la Siria. Veicoli corazzati e batterie antimissile sono la risposta all’abbattimento, da parte della contraerea siriana, di un aereo da ricognizione turco che volava sopra il Mediterraneo. Un attacco che il premier Recep Tayyip Erdogan ha definito "scellerato".

Il governo di Ankara ha cercato la sponda della Nato (https://www.loccidentale.it/node/117346) ma ha chiarito di non voler attaccare la Siria. Insomma, mobilitando l’esercito, Erdogan ha voluto inviare un avvertimento al traballante regime di Bashar al Assad. Lo aveva già fatto tagliando le esportazioni di energia elettrica oltrefrontiera e annunciando di aver cambiato le regole di ingaggio delle truppe turche che adesso potranno sparare a eventuali mezzi militari o soldati che si avvicinino al confine. Nonostante la nuova proposta di Kofi Annan, è chiaro che la crisi siriana troverà una soluzione solo quando la Turchia avrà preso una decisione netta sul destino del regime di Damasco. Il problema è che ad Ankara sembrano non aver ancora deciso.

Come  scritto su Foreign Policy (http://www.foreignpolicy.com/articles/2012/06/27/turkey_s_not_messing_around_anymore?page=0,1) da Justin Vela, Erdogan non ha un piano ben definito per il dopo Assad. Anche perché l’opinione pubblica turca non approverebbe un intervento armato in Siria. Ma non ci sono solo ragioni domestiche dietro i tentennamenti del primo ministro turco. La guerra civile in Siria ha sconvolto la politica estera del paese anatolico. La Turchia vuole tornare ad essere una grande potenza e per farlo si serve del neo ottomanesimo, la dottrina elaborata da Ahmet Davutoglu, l’attuale ministro degli Esteri. Fondamento di questi disegno strategico è il principio “zero problemi con i vicini”. La diplomazia del buon vicinato è lo strumento per accrescere l’influenza dell’ex impero ottomano in tutto l’area del “grande Medioriente”.

Con le ataviche tensioni mediorientali lontane dai confini dell’Anatolia, Erdogan pensava di avere le mani libere per occuparsi della rinascita ottomana. Un’agenda ambiziosa quella del premier di Ankara che aveva priorità ben definite. Emergere come protagonista delle relazioni internazionali grazie al nuovo soft power di un islam moderato. Costruire il ruolo di hub energetico per il transito del gas centro-asiatico diretto non solo all’Europa ma anche ai paesi mediorientali e nord-africani (il cui fabbisogno sta crescendo rapidamente). Creare un’area di libero scambio con Siria, Libano e Giordania per trovare nuovi mercati per la rampante economia della “tigre dell’Anatolia”. Damasco è stata per anni il fulcro attorno al quale ruotava la nuova ambiziosa politica mediorientale di Erdogan.

In meno di due anni (dal maggio 2009 al 2011) Davatoglu ha compiuto oltre sessanta missioni diplomatiche in territorio siriano. Tra l’Estate del 2007 e quella del 2008, inoltre, la Turchia aveva intrapreso numerose azioni volte a favorire la sottoscrizione di un vero e proprio accordo di pace tra Siria e Israele. Ma quando l’onda lunga della primavera araba ha travolto il regime alawita di Assad una delle prime conseguenze sullo scacchiere mediorientale è stata la repentina interruzione delle relazioni diplomatiche tra Ankara e Damasco. Dopo l’abbattimento del Phantom F-4 dell’aviazione turca i nodi sono venuti al pettine.

Erdogan ha cercato di coinvolgere i membri della Nato ma l’Alleanza atlantica non ha nessuna voglia di farsi trascinare nel pantano siriano. Allo stesso tempo, Ankara vuole mettere fine a questa destabilizzante guerra civile troppo vicina ai propri confini e vuole farlo con l’aiuto della comunità internazionale. Come fanno notare gli analisti di Stratfor, (http://www.stratfor.com/sample/analysis/turkeys-measured-response-syria) è per questo che la Turchia minaccia il regime siriano a parole anche se poi, di fatto, allenta la pressione diretta su Assad.

Russia e Iran, principali alleati del regime di Damasco hanno avuto la possibilità di aumentare il sostegno alle forze governative. Così, i combattimenti tra le forze rimaste fedeli al clan Assad e i ribelli sono destinati a proseguire. Erdogan scommette sul fatto che la comunità internazionale non potrà tollerare ancora a lungo il caos siriano. La guerra fratricida nel Pese collocato al crocevia di tutte le tensioni del vicino oriente rischia di incendiare l’intera regione. E’ una bomba pronta a deflagrare e la Turchia sa di non poterla disinnescare da sola.