La crisi spirituale della civiltà europea

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La crisi spirituale della civiltà europea

La crisi spirituale della civiltà europea

26 Aprile 2006

Symposio
“A Growing Gap: Living and Forgotten Christian Roots in Europe and the US”

Vienna, 27 aprile 2006

1. Introduzione autobiografica

Credo che il modo migliore per introdurre i problemi che intendo affrontare sia una breve auto-introduzione.

Personamente,
non sono ateo. Non nego l’esistenza di Dio e mi oppongo a tutte quelle
filosofie che hanno dichiarato la “morte di Dio” o “l’inutilità di
Dio”, da Feuerbach a Marx a Comte a Nietzsche a Freud. È per questo
che, dei due temi che mi sono stati assegnati, mi occuperò del secondo
– la crisi della civiltà europea – e non del primo, l’umanesimo
ateistico. Questo umanesimo, supposto che sia mai stato un umanesimo, è
per me morto e sepolto, anche se l’odore di questi cadaveri
intellettuali continua ad ammorbare la cultura europea. Feuerbach e
Marx esalano ancora secolarismo, Nietzsche il nihilismo, e Freud
l’idolatria della scienza ridotta ad un tranquillante per le coscienze.

Per
ragioni che non è il caso qui di spiegare, non posso definirmi un
cristiano credente. Seguo Pascal, secondo cui Dio è una scommessa, e
Kant, secondo cui Dio è un postulato della vita morale. Credo che si
debba vivere velut si Deus daretur, o più precisamente, velut si Christus daretur.
Senza l’idea di Dio, quale limite avrebbe la nostra vita morale? Quale
giudice resterebbe delle nostre azioni? Di fronte a chi risponderemmo
dei nostri comportamenti?

Parlando in positivo, mi considero un credente nei valori fundamentali del cristianesimo%3C/em>, la dignità della persona, la vita, l’uguaglianza, la fratellanza, la solidarietà, eccetera.

Per
completare questa breve auto-presentazione, posso aggiungere i tre
fatti principali che mi hanno portato alla convinzione che esiste una
grave crisi morale e spirituale dell’Europa.

Il
primo fatto è la reazione dell’Europa di fronte alla fine del
comunismo. Il sentimento più diffuso fra le élites culturali non
comuniste dell’Europa occidentale fu più di rimpianto che di
soddisfazione, più di nostalgia che di speranza. Si disse: non crediate
che tutti i problemi siano risolti. Oppure: non pensiate che gli ideali
di giustizia, uguaglianza, miglioramento, autogoverno, che stanno alla
base del comunismo si siano dissolti. Più che sentirsi vittoriosa,
l’Europa si sentì orfana. Aveva già perso l’identità positiva cristiana
e ora non aveva neanche quella negativa anticomunista.

Il
secondo fatto che menziono è la reazione dell’Europa all’11 settembre e
al fondamentalismo islamico. Il primo giorno dopo l’attacco alle Torri
gemelle e al Pentagono eravamo tutti americani. Il secondo giorno lo
eravamo solo nei necrologi. Il terzo giorno non c’era più un americano
in Europa. Non mi riferisco alle divisioni sulla guerra in Iraq, mi
riferisco a quella strana “sindrome di colpevolezza” da cui siamo
affetti, secondo la quale tutto ciò che ci accade, compreso gli
attacchi del fondamentalismo e del terrorismo islamico – supposto che
ci sia consentito di chiamarlo “islamico” – sono giustificati dalle
nostre colpe ed errori.

A questa sindrome si deve
aggiungere che l’Europa sta elaborando un’idea del nostro continente
come un’oasi di pace perpetua. E sta coltivando una forma di ostilità e
diffidenza nei confronti dell’America, vista invece come una
superpotenza aggressiva. Lo stesso cardinale Schönborn, nella sua
lettera a George Weigel del 31 agosto 2004, ritiene che gli Stati Uniti
hanno sviluppato una forma di «imperialismo, sebbene trainato dalla
grande visione dell’idea americana» e scrive che «l’integrazione
europea è un progetto di pace fra nazioni europee e la loro storia di
sangue».

Anche a me piace questo progetto di pace,
ma mi chiedo come l’Europa possa perseguirlo se declina le sue
responsabilità internazionali. In che modo l’Europa intende mantenere
la pace? Alla maniera di chi ritira le truppe dal fronte, di chi nega
qualunque uso della forza, di chi chiede scusa se in Occidente si usa
l’ironia anche contro le religioni, di chi tace sulle chiese bruciate e
sui martiri cristiani? Tutti questi modi di mantenere la pace non
ricordano il modo tragico con cui si mantenne la pace a Monaco nel 1938?

Il
terzo fatto cui mi riferisco è più personale. Si tratta del mio
incontro, prima intellettuale e poi personale, con il cardinale
Ratzinger poi Benedetto XVI. Quando ho letto che, secondo lui, «il
confronto [fra l’Europa] e l’Impero Romano al tramonto si impone», la
mia convinzione si è rafforzata.

I sintomi della
crisi spirituale dell’Europa – della sua «collisione con la sua stessa
storia», come dice Benedetto XVI – a me sembrano evidenti. I principali
sono:

  • il mancato riferimento
    alle radici cristiane dell’Europa in una Costituzione che inizia
    citando Tucidide e prosegue riferendosi a tradizioni mai menzionate col
    loro nome;
  • una fioritura di legislazioni
    nazionali contrarie ai valori fondamentali del cristianesimo, come la
    vita, la dignità umana, il matrimonio;
  • la secolarizzazione assunta come ideologia o come una sorta di religione di stato;
  • il rifiuto, quale non si vede in America, di consentire alla religione di giocare un ruolo nella sfera pubblica;
  • il
    multiculturalismo, che è una forma di integrazione degli immigrati che
    non attribuisce valore particolare alla tradizione autoctona;
  • il
    relativismo, che è la dottrina secondo cui nessuna cultura o civiltà
    può essere comparata con alcun’altra, per cui tutte hanno la stessa
    dignità.

Se questa è la crisi,
qual è il rimedio? La mia risposta è duplice: un progetto culturale a
favore di una religione civile cristiana, e l’adozione di politiche
coerenti con questo progetto.

2. Una religione civile cristiana

Ho avanzato l’idea di una religione civile cristiana nel libro Sena radici
scritto con l’allora Cardinale Ratzinger. E ho lanciato un Manifesto
culturale e politico per la difesa dell’Occidente che è scritto secondo
le linee di questa idea. Consentitemi perciò di presentarla nei suoi
termini ampi.

Quando dico “religione” mi riferisco
ad una fede, un credo. Come tutte le religioni, essa è un atteggiamento
antecedente alle nostre decisioni culturali e politiche, è una cornice
o una guida delle nostre scelte di vita.

“Civile” significa che essa è un costume collettivo, il quale fornisce un ethos,
cioè una identità a individui e popoli. In questo senso, “civile” non
solo non è incompatibile con le varie confessioni religiose cristiane
professate in Europa, ma si accorda con i fondamenti di ciascuna di
esse.

Questo spiega perché una religione siffatta
deve essere “cristiana”. Nel senso che i suoi valori sono quelli che,
in Europa, sono stati tramandati dalla tradizione giudaico-cristiana.

C’è ora da chiedersi: chi può impegnarsi in questo progetto culturale?

In
primo luogo, ovviamente, dovrebbero farlo i cristiani credenti e perciò
la Chiesa cattolica e le varie chiese cristiane europee.

In
secondo luogo, alla religione civile cristiana dovrebbero essere
interessati anche i non credenti, perché essa non implica
necessariamente una fede trascendente.

In terzo
luogo, il progetto dovrebbe essere perseguito da tutti coloro che si
richiamano ai princìpi del conservatorismo politico, in particolare la
difesa della tradizione, che in Europa, nonostante la cattiva coscienza
di coloro che abbozzarono la Costituzione, è la tradizione cristiana.

Questo progetto richiede dei prezzi, naturalmente.

Il
prezzo dei credenti cristiani è quello di mirare all’essenziale, cioè i
valori fondamentali della loro fede, e di sacrificare i vantaggi
contingenti, cioè i privilegi temporali delle loro Chiese. Per essere
più espliciti, nella defunta Costituzione europea, era pi