La cultura delle braghe calate e quella del burka
27 Settembre 2007
di redazione
Il
sofisticato pubblico di intellettuali liberal che alla Columbia University ha
accolto tra bisbigli e sbadigli il discorso con cui Ahmadinejad ha presentato
la propria visione del mondo ha avuto un sussulto di dissenso soltanto quando
egli ha negato che in Iran esistessero degli omossessuali. Forse intuendo come
lì veniva risolto il problema della loro esistenza e dei loro diritti.
Poche altre cose hanno mostrato altrettanto chiaramente come l’ideologia
liberal possa condurre a situazioni aberranti. Dopo averci per decenni
“fatto un culo così” sull’eticità di un libero scambio di corpi e
sull’immoralità del libero scambio di beni e risorse, sui diritti umani, sulla
loro universalizzazione e sulla doverosità della loro intransigente difesa, in
sostanza, oggi, ci vengono a dire che soltanto i gay sono soggetti di diritti.
In altre parole che il futuro dell’Occidente, e la sua stessa sopravvivenza,
non sono legati tanto al diritto individuale di calare le braghe quando e
davanti a chi si vuole, ma al dovere di farlo per essere considerati (ma da
chi, poi ?) “degni di tutela”. Tutto il resto passa in secondo piano.
Il diritto ad una vita sessuale felice e piena di soddisfazioni precede così
quello alla vita, libertà e proprietà.
Gli stessi che avevano negato la teoria dello scontro di civiltà si trovano
così a far fronte ad una contrapposizione tra la cultura delle braghe all’aria
e quella del burka.
I liberal della Columbia, sostanzialmente, credono che Ahmadinejad sia un
innocuo buontempone al quale, semmai, rimproverare seriamente soltanto di non aver capito che far sesso con chi si vuole è il più importante dei diritti.