Leggendo i giornali sembra che l’Italia sia divisa tra chi mette al primo posto la salute dei cittadini e chi si preoccupa del lavoro e dell’economia. Come sempre, Guelfi e Ghibellini, vasca o doccia, trofie o pansoti, Beatles o Rolling Stones.
Siamo seri, il dilemma non è questo, meno che mai su questioni così drammatiche.
L’Italia ormai è chiusa da più tempo di quanto lo sia stata davvero la Cina e intorno a noi, dalla Francia all’Austria, dall’Olanda alla Danimarca e alla Spagna, il mondo si prepara a riaprire e affrontare l’epidemia nelle strade, sul posto di lavoro, sui mezzi pubblici, nei ristoranti.
Occuparsi della salute non può voler dire solo scampare al Covid-19. Vuol dire consentire a diabetici e cardiopatici di potersi muovere, altrimenti quanti in futuro pagheranno per la forzata immobilità? Vuol dire pensare ai bambini, ignorati fino a oggi, e non solo a loro, visto che quando le famiglie dovranno uscire, le scuole saranno ancora chiuse (giusto? Gli altri Paesi per il vero le riaprono). Chi si occuperà di loro? Visto che certamente non potranno essere lasciati ai nonni, la vera categoria a rischio che dovremo continuare a proteggere per ancora un po’.
Avere cura della salute delle persone non può consistere solo nel dare un sussidio o la cassa integrazione (ammesso che arrivi, cosa che per ora non è accaduto) ma fare in modo che ognuno ritrovi il suo posto di lavoro. In Liguria abbiamo tenuto aperti i grandi cantieri, dal Ponte di Genova al Bisagno, ai cantieri sul dissesto idrogeologico. Lo abbiamo fatto in sicurezza. Ora è il momento di dare risposte al grido di dolore di tante categorie che possono, forse, aspettare ancora qualche giorno, certo non settimane o mesi. I cantieri edili, i cantieri navali, le imprese che commerciano con l’estero e rischiano di perdere mercato, e molto altro. Ricevo centinaia di messaggi al giorno di persone in difficoltà: baristi, negozianti, parrucchieri, estetiste e potrei andare avanti per molto. Chiudendo abbiamo salvato tante persone dalla morte, ora dobbiamo avere il coraggio di salvare anche le loro vite.
In Liguria abbiamo cominciato, con grande prudenza, a ridare un po’ di fiato alle nostra società: i giardinieri, la cura degli orti, ora non vedo perché, nei prossimi giorni, non dare spazio a chi vuole andare da solo a pescare sulla sua barchetta, oppure a fare una sgambata in bicicletta, o che so, a cavallo nei nostri sentieri di montagna. Senza dimenticare di considerare le esigenze di aria aperta dei più piccoli. Il problema non è se farlo, ma come farlo, imparare tutti regole nuove che ci consentano di tornare a vivere senza morire.
Nei periodi peggiori della pandemia abbiamo chiuso tutto. Siamo stati i primi ad aver interrotto le lezioni a scuola ancora prima che ce lo dicesse il Governo. Ora è il momento di rimediare ad alcune ingiustizie: perché si può stare in coda davanti ad un supermercato o ad una panetteria e non davanti ad un ristorante per ritirare le polpette che ci piacciono o una pizza, da consumare a tavola e poi, in futuro, su tavoli debitamente distanziati? Succede già in molte altre parti d’Europa. Anche qui il tema non è se farlo, ma come: con regole serie, rigorose e soprattuto conosciute e rispettate da tutti.
Noi ci stiamo preparando: abbiamo distribuito mascherine al mondo del lavoro e le stiamo consegnando a tutti i cittadini; stiamo facendo i test sierologici e li aumenteremo sempre di più; abbiamo potenziato la nostra sanità che resterà pronta anche nei mesi a venire e stiamo studiando procedure e norme di sicurezza.
Ora abbiamo il dovere di evitare che chi ha scampato la morte non perda la vita, la salute, la volontà di andare avanti. Spero che il Governo lo capisca e che finisca questo balletto di dubbi e incertezze, che si tracci una via e che venga data alle Regioni la possibilità di ascoltare i propri cittadini e ripartire. Di sicuro noi in Liguria lo faremo. Come dimostra la nostra capacità di reagire alla tante emergenze che abbiamo vissuto, noi ce la faremo. E non permetteremo a nessuno di impedircelo!