La decapitata del lago, nel 1955, sconvolge l’estate di Castelgandolfo
11 Agosto 2010
La decapitata del lago. Il fattaccio di Castel Gandolfo ha il titolo di un romanzo popolare. Nella Roma paciosa del 1955 il ritrovamento di un cadavere di una giovane donna, senza la testa, sconvolge l’estate. E’ il 10 luglio, Antonio Solazzi, meccanico e il suo amico Luigi Barboni, sagrestano, cercano di combattere l’afa spingendosi in barca sulle acque del lago di Albano.
Il primo chiede di avvicinarsi alla riva, deve appartarsi per una "necessità fisica" secondo quanto riportato dai verbali resi agli investigatori. Si inerpica per una scarpata e scorge due gambe bianche come il gesso, sembra un manichino, ma l’erba è intrisa di una sostanza scura e vischiosa. E’il cadavere di una ragazza, completamente nuda, decapitatata con un taglio netto e preciso.
"Opera di un chirurgo o di un bravo macellaio" diranno i periti. All’altezza del collo ci sono alcuni fogli del Messaggero, come a nascondere quell’orribile mutilazione. Sul giornale la data del 5 luglio.
L’unico oggetto indossato dalla vittima è un orologio economico, uno Zeus, di cui finora sono stati venduti solo 150 esemplari, è che risulterà l’unico elemento utile alle indagini, quello che consentirà di identificare quei poveri resti. I due gitanti sono terrorizzati, passeranno altri due giorni prima che si decidano ad avvertire i carabinieri. Il 12 luglio la riva del lago è presa d’assalto da forze dell’ordine e giornalisti.
Il medico legale stabilisce che la giovane, ancora senza nome è stata prima accoltellata, sette fendenti uno dei quali le ha reciso l’aorta, poi decapitata. Non solo: a quei miseri resti sono state asportate le ovaie. Il giallo è fittissimo, l’unico appiglio è quell’orologio. Come al solito i cronisti indagano in parallelo alla polizia.
C’è una ragazza scomparsa a Milano, schedata come lucciola. Sua madre, raggiunta dai giornalisti si dispera: "E’ sempre stata una brava ragazza, dalla morte del padre ha sempre fatto il suo mestiere onestamente". Il clamore porta la presunta vittima a farsi viva con la stampa. Vive a Napoli e ha la battuta pronta: "come vedete la testa ce l’ho ancora sul collo".
I neristi scovano un’altra donna sparita nel nulla, sempre a Milano. Il marito ne aveva denunciato la scomparsa a giugno, la trovano viva e vegeta, e legata a un altro uomo: "Io da quello non ci torno", si limita a commentare.
Finalmente si imbocca la pista giusta. Risulta irreperibile una giovane di 30 anni, Antonietta Longo, originaria di Mascalucia, in provincia di Catania, domestica in servizio presso la famiglia del medico Gasparri in via Poggio Catino a Roma. E’ il dottore in persona a presentare la denuncia di scomparsa il 30 giugno. L’orologio Zeus sarebbe stato regalato da un nipote della giovane. Dalla Sicilia accorrono le sorelle per riconoscere il cadavere. Dalle mani e dai piedi della vittima viene riscontrata la stessa marca di smalto rinvenuto tra i suoi oggetti rimasti in casa dei datori di lavoro, dove vengono rilevate anche alcune impronte digitali, che corrispondono a quelle del cadavere.
Le indagini ripartono, vengono fermati e ascoltati il proprietario di un bar sulla riva del lago di Albano a pochi passi dal luogo in cui è stata ritrovata Antonietta.
Nessuno la sera del 5 luglio ha visto o sentito nulla di strano. Poi vengono passati al setaccio i fidanzati o i pretendenti: un muratore, un ragioniere, uomini assolutamente ordinari, che della vittima ricordano la correttezza e soprattutto la ferma intenzione di arrivare illibata all’altare. Forse anche per questo nessuna delle sue relazioni dura più di qualche settimana.
Poi la svolta: Antonietta alcuni mesi prima di morire aveva ritirato tutti i suoi risparmi, 231.120 lire, per poi chiedere alla famiglia Gasparri un mese di ferie. Quel mese passa, e la domestica non torna. Ma le indagini appurano che è ancora a Roma. Proprio il 30 giugno riprende i suoi soldi da una cassetta di sicurezza alla stazione Termini, dove da settimane tiene in deposito anche due valigie. In una c’è un corredo da matrimonio.
Il primo luglio scrive ai genitori in Sicilia: "Siate felici per me, sto per sposarmi con un uomo perbene. Arriverò in paese con lui a breve. Se Dio vuole presto vi darò un nipotino". Sono le parole di una donna innamorata. La missiva arriva il quattro luglio. In quei giorni Antonietta alloggia in una pensione vicino alla stazione. Il 5 luglio viene ammazzata.
Il suo assassino è l’uomo che l’ha ingannata promettendole il matrimonio. E che invece l’ha massacrata per sparire con i suoi risparmi. E’ questa l’unica certezza degli investigatori. Da allora si gira a vuoto. Nessuno sa chi possa essere. Antonietta non ne aveva fatto parola con le sorelle o con le amiche. Le indagini si fermano. Resta il mistero delle ovaie asportate. Forse la domestica era incinta, ma si rimane nel campo delle ipotesi. Il caso si raffredda, le pagine dei giornali dapprima citano casi analoghi. Nel 1946 un infermiere ligure fece a pezzi una mezza dozzina di donne, per poi scaricarle nel Tirreno, salvo poi confessare "a rate" i suoi misfatti in cambio di un lauto pasto al giorno assieme a quattro sigari toscani.
Poi i cronisti si dedicano alla scoperta che in Italia, ogni anno, scompaiono seimila donne tra i 15 e i 22 anni. In mancanza di meglio si affidano alle rivelazioni di medium e radioestesisti che indicano improbabili colpevoli per il delitto di Castel Gandolfo. Passa così l’intera estate, il fattaccio scompare dalle pagine dei giornali e diventa, a modo suo, leggenda.