La democrazia liberale non è per tutti
08 Marzo 2008
Per ‘democrazia liberale’ intendo una ‘forma di governo’ che: a) limita lo spazio delle decisioni collettivamente vincolanti—le leggi emanate dai soggetti pubblici, siano essi lo Stato, le regioni, i comuni, gli ordini professionali etc.; b) non riconosce le disposizioni legislative e i decreti amministrativi che siano in contrasto con i principi iscritti nella Costituzione, le ‘garanzie della libertà’; c)mira ad estendere la libertà dei cittadini intesa sostanzialmente come libertà negativa ovvero libertà da (non impedimento), facoltà di programmare la propria esistenza–andare e venire, fare e non fare,impegnarsi e disimpegnarsi–senza dover rendere conto a nessuno; d) prende sul serio la massima aurea della democrazia medievale ‘Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet’ e, pertanto, tende a diffidare di un allargamento eccessivo della ‘sfera dei diritti’che, imponendo oneri eccessivi alla collettività, finisca per indebolire il treppiede giusnaturalistico—vita, libertà, proprietà—che John Locke aveva posto a fondamento della ‘libertà dei moderni’;e)ritiene che gli individui siano i migliori giudici e custodi dei loro ‘affari’ e affida al libero confronto delle parti sociali il compito di comporre i diversi interessi in maniera soddisfacente;f) non demonizza il conflitto sociale ma lo riguarda come mero strumento volto a produrre più soddisfacenti ‘regole del gioco’(gli uomini non competono per il piacere di competere, come pensano i conflittualisti libertari, ma per ottenere risultati ovvero il pacifico godimento dei loro diritti).
Se questa è la ‘democrazia liberale’ ovvero la sua ‘filosofia’—le traduzioni istituzionali rivestono un’importanza cruciale ma richiedono,il va sans dire, un discorso a parte—se ne deduce agevolmente che parlare (almeno in Italia) di ‘pensiero unico%E2