La dieta di Pamela Anderson non salverà il mondo dal global warming
30 Aprile 2010
A Natale si sa, siamo sempre tutti più buoni. Il tono della voce cambia, meno duro e più soave, gli speaker televisivi fanno la boccuccia a cuore e per giorni, su ogni telegiornale, assistiamo alla gara di chi è più buono, più attento ai bisogni delle persone meno abbienti; talvolta si menzionano i paesi i via di sviluppo ed ecco allora scorrere immagini di bimbi malnutriti coperti di mosche, madri scheletriche. Basta parlarne per pochi giorni e la coscienza, collettiva e singola, si tranquillizza serena, conscia che la porzione canonica delle buone azioni è stata raggiunta e quindi, con essa, l’assoluzione dei nostri peccati ed il Paradiso, futuro, molto, molto futuro se possibile.
E’ questa l’atmosfera che ho respirato pochi giorni fa, giovedì 22, quando i giornali con grande enfasi hanno riempito le loro pagine della consueta paccottiglia buonista con commenti spesso da bar dello sport. Il rito si ripete annualmente, più volte l’anno, perché ormai “la giornata di qualcosa…” soprattutto se a sfondo ambientale, va molto di moda, non costa molto e si vende bene sui media. Giovedì probabilmente è stato toccato il fondo dell’imbecillità e della volgarità: il picco maggiore viene dagli USA dove l’attrice Pamela Anderson, bella figliola alcuni anni e molto botulino fa, si è fatta ritrarre in uno squisito bikini dal taglio “vacanza aziendali a Milano Marittima anni 60” con una forma che riproduce larghe foglie di cavolo (larghe perché la signora abbonda nel sostegno di silicone).
Ed ecco che la bellona ci propina una deliziosa e profonda intervista nella quale spiega che ha posato nel passato nuda per dimostrare che si puo’ avere un corpo bello senza mangiare carne ma affidandosi ad una stretta dieta vegetariana (il silicone è un optional aggiuntivo ed accettabile non menzionato) e che tra gli animali i polli e le galline sono quelli che subiscono il peggior trattamento dalla nascita alla macellazione. La signora ci informa anche che, tra le sue varie attività cultural-filantropiche, si sta fortemente attivando per convincere le industrie a trovare forme di macellazione che infliggano minori sofferenze agli animali. Lodevole impresa che tocca il cuore di tutti noi troppo distratti da banalità quali, per esempio, la siccità in Eritrea ed in Etiopia , o ancora dal dilagare dell’AIDS e delle violenze tra i bambini dell’Africa centro-sud:: effettivamente quisquilie che, peraltro, non permetterebbero di trovare un bikini adeguato a sponsorizzare eventuali campagne di sostegno alla lotta contro questi problemini.
Le chicche, pero’, non finiscono qui: i cambiamenti climatici sono sempre di forte presa mediatica, ed ecco che un agronomo di Vancouver suggerisce una rivoluzione verde “inimmaginabile” per la sua semplicità, la creazione di un network di “contadini di città” che coltivino prodotti stagionali nei loro giardini di casa da rivendere nei mercatini che devono essere ad una distanza non superiore ai 5 km. Non è finita qui: si devono usare solo prodotti organici, attrezzi riciclati e si deve andare a piedi o in bici per portare i prodotti alla vendita; da qui il limite dei 5 km che rappresentano il percorso medio che un uomo, in buona salute, fa in un’ora a piedi o 20 minuti in bici. Quando si dice l’idea geniale! Oh, eventualmente se non si avesse un giardino o nemmeno un balcone perché vivi in una casa-alveare o nel centro di una megalopoli? Che si fa? Non è dato sapere: la ricetta non è stata ancora tarata su questioni marginali come vivere nel centro di Tokyo o nel Sahel.
Ma non è tutto: nella giornata del festival delle castronerie ambientali ne hanno inventata ancora un’altra: oggi è possibile calcolare quanto carbonio è consumato nella nostra dieta alimentare; di che farti andare per traverso il triste tramezzino che inghiotti di corsa mentre stai lavorando o, peggio, rovinarti una cena tra amici quando hai un poco di tempo da dedicare anche a te stesso e cerchi di goderti quello scampolo di vita. Ebbene no: ecco che nasce una “dieta senza carbonio”; una società americana di ristorazione e catering (business is business) presente in 29 stati, che aspira a spingere le persone a contribuire alla riduzione dei gas serra attraverso le scelte gastronomiche, ha realizzato un software che indica, per ogni cibo il”valore carbonico” cioè l’entità stimata di CO2 che è servita per produrre ogni singolo ingrediente e per portarlo ad essere utilizzato a tavola.
Tra i risultati interessanti scopriamo così che conviene mangiare carne di canguro rispetto al manzo a causa dell’emissione di gas che i due animali producono con le loro flautolenze, i buoi ne emettono molto di più. Unico problema è il viaggio in Australia o l’importazione della suddetta carne da quel paese. Capiamoci, tra le tante ci sono sicuramente idee che in linea teorica possono apparire ragionevoli a prima vista, quello che va verificato però, è il singolo impatto reale e la sua efficacia sul processo complessivo al quale si vuole contribuire in positivo che, in questo caso, è la riduzione dei gas serra. Da buoni radical-chic con forte coscienza ambientale, mentre noi stiamo calcolando la nostra dieta a basso impatto di carbonio, nello stesso momento il vulcano islandese inonda l’atmosfera di ceneri e gas che influiranno sul clima, a detta dei fisici dell’atmosfera, per lo meno nei prossimi due o tre anni ed in maniera significativa.
Allora forse è meglio qualche volta uscire a cena con gli amici ed invece portare il proprio contributo per cercare di risolvere problemi macroscopici, e si che ce ne sono a iosa, piuttosto che auto-assolversi con atteggiamenti falsamente ecologici nelle minime cose. Un’iniziativa per tutte: far comprendere ai nostri politici che è certamente più utile affrontare e risolvere magari un solo problema ma arrivando sino in fondo piuttosto che saltabeccare da un tema all’altro a seconda della moda e di quello che riporta la stampa senza concludere nulla di concreto. Sogno troppo?