La diplomazia dei movimenti non s’addice al Parlamento
10 Aprile 2007
di redazione
In cambio di Mastrogiacomo, i talebani hanno ottenuto la liberazione di
terroristi talebani. Forse perché il
governo italiano, incalzato da esponenti della propria maggioranza, avrebbe rappresentato al governo Karzai la propria
impotenza a reggere l’urto di tali esponenti, a mantenere in vita la
coalizione, a confermare la partecipazione italiana alla missione in
Afghanistan, senza la restituzione ai suoi cari e al suo giornale del
giornalista sequestrato? L’interrogativo è più che legittimo e quanto recentemente
dichiarato da Karzai gli ha conferito straordinaria attualità.
Se poi non fosse così e fosse stato
invece quest’ultimo a dare una falsa motivazione della libertà da lui concessa
ai terroristi talebani, a maggior ragione toccherebbe al governo italiano
ricostruire lo svolgimento dei fatti, senza eludere il confronto parlamentare.
In democrazia sono gli esecutivi a far da apparato servente ai parlamenti e non
viceversa.
Molto opportunamente Silvio
Berlusconi, per attenuare alcuni toni esagitati, ha evocato onore e carità di patria. Ma pesano
sulla nostra politica in Afghanistan ombre e ambiguità che all’onore della
patria non giovano affatto. Quella di Strada è organizzazione non governativa:
del ruolo che le è stato conferito e del perché le è stato conferito non può
che rispondere il potere esecutivo. Ogni analogia col precedente operato della
Croce Rossa di Scelli in Iraq sarebbe fuorviante, o peggio ricattatoria.
C’era entusiasmo per Mastrogiacomo
tornato in Italia. C’era Gino Strada impegnatissimo nella propria
autocelebrazione. Lo sfortunato presidente Bertinotti ebbe a parlare di
“diplomazia dei movimenti”. Mai formula, nel giro soltanto di una quindicina di
giorni, si sarebbe rivelata più infelice.
C’era una volta, nelle facoltà di scienze politiche la storia dei
trattati e politica internazionale. Era materia gloriosa e polverosa, sapeva di
archivi di cancellerie, dove tutto rientrava sotto “Alti patronati” (anche
quando a trattare erano stati banchieri e faccendieri, sultani e guerriglieri
non riconducibili a sovranità di stati). Poi a tale disciplina subentrò quella
di relazioni internazionali, con più politologia e tanta attenzione ai rapporti
multilaterali e alle convergenze fra statualità ancora incerte, con professori
come Aron e Kissinger, i quali all’”impero” americano amavano legare le vecchie
storie di “legittimità” in Europa dei Talleyrand e dei Metternich.
Oggi il mondo globalizzato,
pronostica Bertinotti, dovrebbe inerpicarsi sulle strade della “diplomazia dei
movimenti”. Sono strade che in fondo non dispiacciono a D’Alema, perché consentono
di incontrare talebani che avrebbero diritto a negoziar la pace in Afghanistan,
uomini di Hamas che avrebbero quello di non riconoscere Israele e terroristi
Hezbollah quello di rappresentare la
Siria e l’Iran in Libano. Se pure per Prodi tali strade vanno
percorse, il Parlamento ha pieno diritto di apprenderlo, senza che il governo
della Repubblica si vittimizzi di uno “sciacallaggio” che è soltanto esercizio
del diritto – dovere di opposizione in un Parlamento che nell’arco di tutta la
vicenda è parso scavalcato da “Porta a porta”, da Emergency, dalla diplomazia
dei movimenti, dal suo stesso presidente Bertinotti. Come se onore e carità di
patria abitassero dovunque, tranne che alle Camere. (L.C.)