La domanda da farsi non è “Luca se l’è cercata?” ma perché lo ha fatto
27 Febbraio 2012
Luca Abbà, 37 anni, ieri è salito su un traliccio dell’alta tensione per protestare contro la Tav, la linea ferroviaria Torino-Lione. E’ rimasto fulminato dalla corrente elettrica, è caduto da oltre 10 metri di altezza, è finito in coma farmacologico. Un episodio drammatico, che al di là dei pasdaran dell’alta velocità o dei sabotatori dell’anarchismo organizzato, merita uno sforzo di comprensione. Qualcosa che vada oltre la solita menata essenzialistica pro o contro qualcosa, "eroe" o "terrorista".
Ieri il professor Galli della Loggia ha scritto che l’Italia non è un Paese per giovani, che siamo una Repubblica di vecchi potenti e stolidi potentati che ha schiacciato sotto il suo peso pachidermico almeno una generazione, costringendola a salari tra i più bassi in Europa, e vedremo cosa c’è in serbo per le prossime, non crederete che sia finita qui. Tanto più allora bisogna capire cosa può aver spinto il leader di un movimento, controverso ma non in odio alla pubblica opinione, ad arrampicarsi su quel traliccio, per opporsi a una ferrovia, non alla peggio centrale nucleare.
Né possiamo cavarcela con i sondaggi alla Libero, il giornale di Maurizio Belpietro, che mentre Luca lotta fra la vita e la morte chiede ai suoi lettori "se l’è meritata?" (la maggioranza risponde di sì), scivolando nel certezzario del preconcetto ("Abbà se l’è cercata, non meritata", ha detto l’ex ministro di Giustizia Castelli). Twitter, lamentano alcuni cinguettii, ieri ha fatto sparire l’hashtag "No Tav" dall’elenco proposto agli iscritti della community, tanto per dire della presunta neutralità dei nuovi strumenti informatici.
Dall’altra parte c’è il fanatismo che conosciamo bene, decrepito anch’esso come mentalità ma che ad ogni generazione si riaffaccia pericoloso come prima, quello che impedisce al procuratore Caselli di presentare il suo nuovo libro in giro per l’Italia. I lupi grigi e le teste matte dell’antagonismo, che come rappresaglia, a Milano, si sono staccati dal corteo per andare a lanciar sassi contro la redazione di Belpietro. Questa è l’Italia, un’arena spietata, culturalmente e politicamente affondata, dove si urla per imporre la propria verità, che invece è solo la nostra, parziale, visione del mondo.
Perché una persona arriva a compiere gesti così estremi? Cosa fa scattare il meccanismo che dalla fisiologia della protesta porta ad una vita in pericolo? Verso dove condurrà questa agitazione sociale, se non al fallimento dei movimenti stessi, di chi, legittimamente, se pacificamente, promuove un’iniziativa (per noi antimoderna) che è comunque legata al rispetto del territorio e dell’ambiente, alla difesa delle identità locali?
Fino adesso i governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi anni hanno concesso ai manifestanti qualche tavolo tecnico. Non si può sperar di meglio in questi tempi orfani di politica. Ma a quanto pare, almeno in Val di Susa, la tecnocrazia fallisce, il suo efficientismo non esprime decisioni giuste e condivise. Bisognerebbe quindi alzare il livello del dialogo. Confrontarsi. Chiedere ai No Tav, almeno a quelli che si pongono il problema, ‘Che genere di mondo avete in testa’, ‘Che idea avete del progresso’, ‘Sapete come funziona la globalizzazione?’.
Noi continuiamo a credere che la Torino-Lione vada costruita perché gli equilibri geopolitici dell’Europa si decidono soprattutto nella grande battaglia delle infrastrutture, viarie ed energetiche, e la mobilità delle merci e delle persone non dobbiamo per forza appaltarla ai grandi hub del Nord-Europa, lamentandoci un minuto dopo della germanizzazione della Ue. Ma siamo pronti a discutere su questo come su mille altri temi, ascoltando le ragioni degli altri, evidentemente senza rancori o ripensamenti.
Non diamoci l’alibi lancinante di Feltrinelli, il traliccio vicino alla Baita Clarea non è il luogo di un martirio. Non arrendiamoci alle semplificazioni, cominciando da quelle giornalistiche per finire con "gli sbirri l’hanno costretto". Speriamo che Luca si risvegli presto e che possa dirci ancora cosa bolle nella sua terra, che è la nostra.