La domanda su Cosentino a cui i deputati erano chiamati a rispondere
13 Gennaio 2012
di M.M.
Non entreremo nel merito delle accuse rivolte dalla magistratura a Nicola Cosentino, allo stesso modo in cui non era compito del Parlamento – prima in Giunta per le Autorizzazioni e poi in Aula -farlo. E’ questo il punto, più o meno volontariamente eluso. Alla Camera non si chiedeva di assolvere o condannare, visto che la valutazione e l’accertamento dei fatti è esclusiva competenza della magistratura, ma le si chiedeva di rispondere a una domanda diversa: ritenete, deputati, che il vostro collega Cosentino sia vittima di un pregiudizio politico da parte dei magistrati? Esiste o non esiste, per dirla tecnicamente, il ‘fumus persecutionis’? Questa è la domanda (e non altre) a cui i parlamentari erano chiamati a rispondere. Ed ha un senso ben preciso, perché la sua formulazione ha origine all’interno del sistema di garanzie – e non "privilegi "- che la nostra democrazia accorda al Parlamento per tutelare, ancor prima dei suoi membri, l’Istituzione.
Il carcere preventivo è già di per sé cosa molto seria. Se poi il soggetto in questione è un parlamentare lo diventa ancora di più perché in gioco, in questo caso, non c’è soltanto (come se non bastasse) la libertà di una persona, che ne viene privata oltretutto prima ancora che un processo ne abbia stabilito la colpevolezza; in gioco c’è la tutela delle istituzioni democratiche, visto che quella persona, in quel momento, fa parte di un organo previsto dalla Costituzione e riveste un ruolo che va salvaguardato, in quanto tale, da ogni provvedimento presumibilmente mosso da ragioni politiche. Non a caso il Parlamento repubblicano, nei suoi oltre sessant’anni di storia, ha sempre votato contro l’arresto preventivo dei suoi membri, salvo i casi in cui ci fossero di mezzo reati di sangue. E salvo il caso, aggiuntosi di recente alla lista delle eccezioni, di Alfonso Papa, spedito a Poggioreale per cinque mesi finché non è intervenuta la Cassazione a dire che non avrebbe dovuto essere arrestato. Un abuso della carcerazione preventiva giustificato solo dalla necessità di assecondare l’ondata anti-politica (che tanto ricorda gli anni di Tangentopoli), quella per cui basta il sospetto a far scattare la condanna e, di conseguenza, le manette.
Se Cosentino è innocente o colpevole saranno i magistrati a stabilirlo, dopo un regolare processo in cui sarà data la possibilità ad accusa e difesa di esporre le proprie tesi e prove per sottoporle alla valutazione dei giudici. Ieri la maggioranza dei deputati ha ritenuto, in coscienza, di non autorizzare l’arresto del deputato Pdl ravvisando la presenza di elementi sufficienti ad avvalorare l’ipotesi di un pregiudizio politico nei suoi confronti, il ‘fumus persecutionis’. E, d’altra parte, l’assenza di prove in grado di giustificare un provvedimento così severo quale è la carcerazione preventiva.
Alle spalle di quanti pensano di placare i malumori dell’opinione pubblica con qualche processo sommario, che altro non fa se non calpestare diritti e principi come la libertà e la presunzione d’innocenza, c’è un’interpretazione sbagliata e pericolosa della nostra democrazia liberale. Tanto più rischiosa perché si nutre delle ragioni di chi è legittimamente stufo del marcio esistente all’interno della classe politica e vorrebbe farne piazza pulita. Il fine è sicuramente nobile, ma non giustifica il mezzo. La storia non conserva nessun buon ricordo della furia giustizialista, né tantomeno lo conserva l’Italia.