La doppia vita di Dante Alighieri, un po’ detective e un po’ Sommo Poeta
04 Gennaio 2009
Dante Aligheri merita ovviamente l’attenzione del New York Times o dell’Abc. La notizia non è una notizia, e a prima vista non sorprende dunque l’attenzione dedicatagli. Epperò, a ben guardare, quel Dante di cui si parla Oltreoceano non è lo stesso della Divina Commedia. Ha molto a che spartire con quello, ma non è lui. È, infatti, la creazione letteraria di uno dei più venduti romanzieri italiani all’estero, Giulio Leoni. Che al Sommo ha deciso di dedicare un intero ciclo di gialli storici ad alto tasso di suspense e di letterarietà: quattro libri (I delitti del mosaico, I delitti della luce, La crociata delle tenebre, I delitti della medusa), che in Italia sono stati pubblicati da Mondadori e che sono stati tradotti in 37 paesi.
Detective Dante si ritrova così in Cina come in Messico, in Lituania come in Romania, in Norvegia come in Turchia. Alle prese con un’infinità di gialli irrisolti, ambientati, manco a dirlo, “tra Due e Trecento, perché è un periodo che mi affascina, per tanti aspetti. È questa un’epoca – spiega Leoni – in cui si incrinano le grandi potenze che hanno retto sin lì il mondo, in cui esplodono feroci conflitti religiosi, in cui si assiste all’inizio di un grande processo di globalizzazione e di rivoluzione economica”.
Nei suoi libri, Dante è quasi sempre alle prese con il suo futuro capolavoro: così Inferno e Purgatorio trovano ispirazione in oscuri sotterranei e spettacoli di funamboli. Il poeta si ritrova però alle prese anche con fortissime passioni (che non hanno molto a che spartire con l’amore ideliazzato per Beatrice), intense amicizie (come dimenticare Cecco Angiolieri e Guido Cavalcanti?) e dispute teologico-scientifiche di un certo livello.
Sulla creazione del personaggio, non molto tempo fa, Leoni ha spiegato che “la scelta di Dante è venuta quasi automatica. Penso che il poeta riassuma in sé tutti i tratti di migliori di uno straordinario investigatore: l’intelligenza acuminata, la perspicacia, la cultura, il coraggio fisico, la sicurezza in se stesso ai limiti dell’improntitudine”. Ma non c’è solo questo: lo scrittore è rimasto impressionato dalla sua “ideologia mutevole e contraddittoria, ma insieme saldissima nei principi. E soprattutto dalla sua straordinaria capacità di leggere nell’intimo animo umano, nelle sue motivazioni, nelle sue debolezze e virtù. E poi quella capacità di immergersi fino al collo nelle passioni del suo tempo, e insieme di sapersene distaccare con una scrollata di spalle, e guardare avanti di alcuni secoli. Al confronto con le virtù reali di quest’uomo – ha concluso lo scrittore – le doti fittizie di Sherlock Holmes suscitano quasi tenerezza”. Di questo, a quanto pare, si sono persino convinti i lettori di Tel Aviv e di Taiwan.