La doppia vittoria del GOP. Alla Camera e in prima fila nel redistricting

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La doppia vittoria del GOP. Alla Camera e in prima fila nel redistricting

10 Novembre 2010

Le elezioni di medio-termine statunitensi sembrano già un lontano ricordo. Solo otto giorni fa il mondo gridava alla fine dell’idillio tra Obama e il popolo americano. Ricorderete le cause: la crisi economica, la disoccupazione, la novità del Tea Party; i Repubblicani che hanno conquistato la Camera dei Rappresentanti; i Democratici che hanno tenuto per un niente il Senato; il Presidente Barack Obama che, parlando alla nazione dopo la sconfitta, si è detto “più umile” e via dicendo. E adesso? Biz as usual? Nient’altro da dire? No. Qualcosa ancora c’è, e per introdurlo dovremmo ricordare che, assieme a parte del Congresso e ai molti governatorati in gioco financo i referendum su cannabis e sharia, alle elezioni di midterm dello scorso martedi, gli elettori americani sono stati chiamati ad rieleggere anche un certo numero di State Legislature ovvero i parlamenti degli Stati federati. 

Tra i vari buoni risultati ottenuti dai Repubblicani alle ultime elezioni, emerge oggi con forza quello di aver assunto la maggioranza in moltissimi di questi parlamenti. E la centralità che oggi tali istituzioni assumono è data dal fatto che in maggioranza saranno chiamate ad operare un redistricting, ovvero un rimappatura decennale post-censimento dei distretti elettorali all’interno del territorio nazionale americano. Il prossimo mese verrà infatti reso pubblico il nuovo censimento USA per l’anno 2010 ove si certificherà ufficialmente un aumento di 27 mln. di abitanti in più rispetto all’anno 2000. Ogni eletto alla Camera dei Rappresentanti allora dovrà essere eletto in un distretto nel quale cadono, non più i 646.947 residenti dell’anno 2000, bensì le 710.197 unità del 2010. Da qui la necessità di una rimappatura distrettuale. E dato che, dal 1910 in poi, la costituzione statunitense vuole che siano tutti i distretti riferibili alla Camera dei Rappresentanti federale a essere oggetto di ridefinizione, il GOP deve solo andare a ritirare la vincita.

Alle ultime midterm infatti i Repubblicani hanno conquistato e riaffermato il proprio controllo su venti ‘parlamentini’ federati, strappati di mano al Partito Democratico. Diamo qualche nome: la Camera della  Pennsylvania, dell’Ohio, del Michigan; e poi Camera e Senato del Wisconsin, Camera e Senato del North Carolina, solo per citarne alcuni. 

La pratica del redistricting ha storicamente generato molta partigianeria e conflittualità nella politica USA, al punto d’aver di fatto istituzionalizzato (su base democratiche pero’) la definizione degli interessi elettorali per i partiti che di volta in volta detenevano il potere nei vari Stati federati. Da questa pratica “politicamente scorretta” (come si farà a chiedere ai partiti di non essere partigiani, mistero!) nasce il termine gerrymandering, dal nome primo governatore del Massachusetts, Elbridge Gerry, il quale nel lontano 1812 si diede alla pratica ‘oscura’ e vincente di operare un ridisegno "pro domo sua". 

Oggi i Repubblicani potrebbero finire col controllare il redistricting in 13 Stati avendo l’ultima parola sulla definizione di 165 distretti congressuali per la Camera bassa contro i soli quattro parlamenti Statali di cui i Democratici detengono il controllo e che permetterebbe loro di ridefinire soli 40 miseri distretti per i seggi della Camera. La redefinizione degli altri distretti – più della metà – finiranno in commissioni indipendenti, come previste in "mega" Stati come la Florida e la California. Scenari e materia per politologi e politici ma con la forza di modificare il paesaggio politico statunitense almeno per i prossimi dieci anni. Stavolta i Democratici potrebbero davvero perdersi. Un viaggio che ha tutte le carte in regola per durare almeno dieci anni.