“La dottrina Bush è ancora valida ma vanno rafforzate le alleanze”

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“La dottrina Bush è ancora valida ma vanno rafforzate le alleanze”

31 Luglio 2007

intervista a Rudolph Rummel di Stefano Magni

Rudolph Rummel, professore emerito all’Università delle
Hawaii, è uno dei maggiori studiosi di Relazioni Internazionali. Candidato al
Premio Nobel per la Pace nel 1996, ora è tra i pochissimi intellettuali
statunitensi che sostiene la dottrina Bush per l’esportazione della democrazia.
I suoi studi dimostrano, statistiche alla mano, che le democrazie non si fanno
guerra tra loro. E che non massacrano i loro cittadini. La diffusione della
democrazia, dunque, è fondamentale per la pace nel mondo. Rummel ha puntualmente
riportato gli studi internazionali che dimostrano come la violenza (sia quella
tra Stati, sia quella all’interno di essi) sia fortemente diminuita dopo il
collasso dell’Unione Sovietica e l’inizio dell’espansione della forma di
governo democratica in tutto il mondo. Per lo studioso di Relazioni
Internazionali, la Guerra in Iraq non è affatto da considerarsi un insuccesso.
Anzi, ci spiega che: “è stato un successo di altissimo livello. Un dittatore
sanguinario e la sua gang di assassini sono stati eliminati, ora c’è una
costituzione approvata dal popolo e un governo eletto democraticamente. Ci sono
anche un’insurrezione e un terrorismo sistematico contro il governo e le forze
guidate dagli Stati Uniti, ma non possono oscurare questi fondamentali successi”.
Mentre una demoralizzazione del fronte interventista e un eventuale ritiro
dall’Iraq sarebbero una catastrofe. “Scoppierebbe una guerra civile generale e
sarebbe sconfitto il governo iracheno, vi sarebbe un vasto democidio misurabile
in centinaia di migliaia di morti” – ci spiega, usando il termine che ha
coniato egli stesso per definire i crimini di massa degli Stati: democidio –
“Vi sarebbe inoltre una demoralizzazione delle forze che combattono il
terrorismo ovunque nel mondo e un passo indietro per i movimenti
filo-democratici nel Medio Oriente”.

Eppure Rudolph Rummel, che è un convinto difensore della
causa della libertà individuale, viene attaccato soprattutto dai libertari, sia
dai più moderati riuniti attorno al Cato Institute di Washington, sia quelli
più radicali e pacifisti, come Lew Rockwell del Mises Institute e soprattutto
Justin Raimondo, titolare del sito isolazionista Antiwar.com, che lo
considerano un guerrafondaio e incoerente con i principi isolazionisti dei
Padri Fondatori.

Tra i difensori più
radicali della libertà individuale c’è qualcuno che difende la dottrina
dell’esportazione della democrazia?

Io sono un convinto difensore della strategia
dell’esportazione della libertà, la “Forward Strategy of Freedom”. E si tratta
di una strategia di successo. Oggi abbiamo governi democraticamente eletti in
Afghanistan e in Iraq, che erano Paesi dominati da dittature sanguinarie. Ora
assistiamo anche alla crescita di un movimento democratico nel Medio Oriente
così come nel resto del mondo. Nel 2001, quando Bush lanciò la sua dottrina di
politica estera, c’erano 121 democrazie elettorali (formalmente democratiche,
ma prive di garanzie per i diritti individuali, ndr) e 85 democrazie liberali.
Nel 2006, c’erano 123 democrazie elettorali e 90 liberali. Questo è un passo
avanti significativo per un periodo di soli cinque anni. Buona parte di questo
progresso è dovuto all’enfasi posta sulla pomozione della democrazia e
nell’aiuto ai Paesi in fase di democratizzazione.

I Padri Fondatori
degli Stati Uniti predicavano l’isolazionismo e un governo minimo. Una
strategia di promozione della democrazia, non è incoerente con questi principi?

No, non è incoerente. Si tratta di promuovere all’estero lo
stesso valore della libertà individuale.

Nella
sua strategia per promuovere la libertà all’estero, Lei parla di “vettori”
dell’azione per la pace. Quali sono?

Sono le azioni da compiere se vogliamo promuovere la pace
democratica in tutto il mondo e combattere il democidio. All’interno di ogni
Stato si dovrebbe: aumentare la libertà di scelta di individui e gruppi e
garantir loro piena libertà di movimento; decentrare il potere politico,
adottando un sistema federalista; espandere la distribuzione orizzontale del
potere, incoraggiando la nascita e la crescita di gruppi di interesse non
governativi; aumentare il livello di partecipazione politica delle comunità
(“democrazia diretta”); ridurre il controllo e l’interventismo sociale ed
economico dello Stato. Per quanto riguarda la politica estera, i “vettori”
sono: garantire, tramite le Nazioni Unite, il diritto all’emigrazione;
incoraggiare e sostenere, sempre tramite le Nazioni Unite, l’esercizio del
diritto di autodeterminazione dei popoli; permettere la rappresentanza presso
le Nazioni Unite dei popoli, oltre che degli Stati; rafforzare gradualmente il
meccanismo del peacekeeping e del peacemaking; riformulare, all’interno delle
Nazioni Unite, il concetto di “caucus delle democrazie”, in modo da formare un
vero e proprio partito politico delle democrazie rappresentate.

Ci può riassumere in
breve la sua strategia per la promozione della pace democratica?

In breve, per promuovere un mondo prospero e pacifico, un
mondo in cui vi sia sicurezza garantita a tutti, si deve ridurre al minimo il
potere dello Stato a livello nazionale; a livello internazionale si deve
promuovere l’autodeterminazione nazionale e regionale e avere un’Organizzazione
delle Nazioni Unite realmente democratica. In particolar modo si deve
sviluppare un’Alleanza di Democrazie per promuovere la democrazia liberale in
tutto il mondo. E per fare quello che le Nazioni Unite non stanno facendo,
perché sono dominate da Stati non democratici.