La Dottrina sociale della Chiesa e la visione di Prodi
21 Agosto 2007
Ora il presidente del Consiglio Romano Prodi dice di concordare in pieno con le parole del Cardinale Bertone sulle tasse, ma la differenza tra le due visioni rimane e riguarda proprio l’impostazione stessa del problema, non i dettagli. Il segretario di Stato si è rifatto, come è logico, alla Dottrina sociale della Chiesa nel dire che pagare le tasse è un dovere, che le leggi fiscali devono essere giuste e che le tasse servono per il bene comune e soprattutto per i più deboli. Ebbene, andiamo allora direttamente a leggere cosa disse la prima enciclica sociale, la famosa Rerum novarum scritta da Leone XIII nel lontano 1891: «Siccome il diritto alla proprietà privata deriva non da una legge umana ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l’uso e armonizzarlo col bene comune. E’ ingiustizia ed inumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte»; in altre parole «la privata proprietà non deve essere oppressa da imposte eccessive».
La Dottrina sociale della Chiesa si è sempre attenuta a questo principio. In gioco, infatti, c’è la libertà perché le limitazioni della libertà nel campo economico si ripercuotono sempre anche in altri campi. Ed oggi l’eccesso di pressione fiscale è proprio questo, non solo un indebolimento della giustizia, ma anche un indebolimento della libertà. Un eccesso di tasse e la loro gestione centralistica, in altri termini, limita di fatto la democrazia, perché toglie potere al cittadino e ai corpi intermedi e lo concentra nello Stato.
La differenza tra la posizione della Chiesa e quella del premier Romano Prodi riguarda, alla fine, proprio la concezione dello Stato. La Chiesa ha sempre considerato lo Stato uno “strumento” in vista del bene comune e non gli ha mai assegnato un compito di sintesi suprema dello stesso. L’intransigentismo religioso e antistatalista dell’Ottocento non aveva solo motivazioni contingenti. Romano Prodi, invece, assegna allo Stato questo compito di sintesi suprema in ordine al perseguimento del bene comune. Allo Stato si dà il compito di ridistribuire la ricchezza, di perseguire la giustizia, di stabilire in cosa consista l’equità, di monopolizzare l’ambito pubblico. Lo Stato assistenziale del cattolicesimo democratico, esatto rovesciamento dell’antistatalismo tradizionale dell’intransigentismo cattolico, è una forma, seppure indebolita, di stato etico. Ma il sistema fiscale non può e non deve essere inteso come finalizzato ad una simile struttura abnorme ed autoreferenziale.
Nella visione di Prodi due concetti si rincorrono a vicenda: la giustizia è soprattutto redistribuzione di ricchezza, il redistributore per eccellenza è lo Stato. Sono due idee sbagliate. Prima di tutto perché la giustizia è presente in ogni fase della vita economica, in quella produttiva come nel prelievo fiscale, e non solo in quella distributiva. In secondo luogo perché la redistribuzione non può essere solo compito dello Stato. Ci sono forme di redistribuzione profondamente ingiuste, che garantiscono sacche di privilegio e di rendite di posizione, specialmente nei settori delle burocrazie pubbliche e in ambiti ad esse contigui. La redistribuzione può e deve essere fatta anche da altri soggetti. La democrazia fiscale è, come si vede, democrazia politica.
E’ proprio qui che la Dottrina sociale della Chiesa intacca a fondo la visione di Prodi, applicando il principio di sussidiarietà anche al fisco. Le tasse possono essere pagate anche direttamente agli enti locali, senza passare attraverso lo Stato. Questo è il federalismo fiscale. Inoltre essere possono essere destinate, almeno in quota parte, direttamente dal cittadino a soggetti della società civile che svolgano attività sociali meritevoli di sostegno (come nel caso del famoso 5 per mille). Questa è la sussidiarietà fiscale. Il federalismo è sussidiarietà verticale, quest’ultima è sussidiarietà orizzontale. Ma nell’idea del Presidente del Consiglio la sussidiarietà non c’è. La differenza tra le due visioni non riguarda solo un quanto, ma anche il come e del resto i due problemi sono interdipendenti, dato che se oggi si paga tanto e anche perché non funziona il come. Alte aliquote di tasse e noncuranza della sussidiarietà vanno di pari passo.
In una società non c’è un unico bene comune, uguale per tutti e definito e gestito dallo Stato. C’è il bene comune dei vari soggetti sociali, a cominciare dalle famiglie, ed appartiene al loro bene comune avere il diritto di perseguirlo il più direttamente possibile. Impegnarsi per lo specifico bene comune non è originariamente dello Stato, ma dei soggetti stessi i quali devono poterlo fare anche gestendo sussidiariamente la propria capacità contributiva.