
La famiglia, la politica e i due congressi di Verona

27 Marzo 2019
di Idefix
Diciamoci la verità, anzi diciamocelo “papale papale”: a Verona nel fine settimana andranno in scena due congressi. Il primo si gioca sul fronte esterno, nel dibattito pubblico che da tempo, a prescindere dalla tre giorni scaligera, vede contrapposte due antitetiche visioni dell’uomo e della sua libertà. Il secondo, più interno ma non certo una questione da buco della serratura, si gioca sullo spread tra pensieri, parole, opere e omissioni.
Prendiamo le mosse da una concomitanza recente e assai rivelatrice, solo un esempio fra i tanti ma significativo dell’aria che tira. Qualche giorno fa il presidente della Corte Costituzionale, con fin troppa chiarezza, ha esplicitato che in assenza di una iniziativa parlamentare sul fine vita, di qui a qualche mese ci troveremo l’eutanasia attiva imposta per sentenza. Nelle stesse ore il premier Conte disponeva la modifica del logo del patrocinio concesso al congresso veronese, affinché fosse attribuibile al solo ministro della Famiglia e non all’intera presidenza del Consiglio. Ebbene, sulla disfida del logo (una battaglia effimera e “gratis”) abbiamo visto spade sguainarsi e pistole (metaforiche) sfoderarsi. Su come evitare che lo Stato italiano diventi dispensatore di iniezioni letali a base di Pentobarbital, questione un po’ più impegnativa che richiede di spendere quote di influenza politica e mettere in gioco qualche comodo equilibrio, un imbarazzato e imbarazzante silenzio rotto solo da qualche sparutissima voce.
Se tuttavia sta a ciascun partito decidere su cosa e in quale misura dare concretamente battaglia – se, cioè, all’atto pratico la vita e la famiglia valgono almeno quanto una Tav, una “quota 100” o una nave Diciotti -, fuori dal Palazzo toccherebbe ai rappresentanti del mondo pro-family e pro-life prenderne atto e richiamare alla corrispondenza tra asserzioni di principio e fatti. In caso contrario, dal contagio delle buone idee si passerebbe a un contagio di furba tatticità.
Perché buttarla in politica? Perché Verona è un evento politico, e sostenere il contrario sarebbe, a seconda dei casi, ingenuo o ipocrita. Lo è per scelta intenzionale e per impostazione organizzativa. E in fondo lo è fin dalla sua genesi, a meno di non voler pensare che indire un congresso mondiale ad appena sei mesi da quello precedente, a ridosso di infuocate elezioni europee, con modalità e percorsi evidenti ed espliciti, peraltro nella città di un ministro della Famiglia che da tempo, con il solo ostacolo della contrarietà del Capitano, ambisce a una candidatura per tornare a Bruxelles, fors’anche per lasciare un ministero che a dispetto delle grandi aspettative non sembra aver lasciato grande traccia di sé, sia una straordinaria casualità. L’”allineamento della cometa di Halley”, l’avrebbero chiamato a Roma gli amici dei grillini.
Sia chiaro: non c’è nulla di male. Utilizzare spazi di agibilità istituzionale per dare visibilità alle proprie idee, magari ricavandone in cambio consenso dal quale trarre forza per metterle in pratica, è l’essenza dell’impegno pubblico. Tantomeno è un problema di egemonia politica, che certamente è un merito e non una colpa di chi ha saputo conquistarla e alla quale in tanti, anche dall’opposizione, sarebbero stati ben lieti di dare sponda sui temi eticamente sensibili per ottenere qualche risultato concreto.
Il problema – e questo è il punto – è che non un’unghia di quella egemonia è stata spesa, in termini fattuali, sul terreno della vita, della famiglia, della genitorialità, della libertà. Si obietterà che il contratto di governo, per l’evidente divergenza di vedute tra i due contraenti, ha stabilito una moratoria sui temi etici. Ma il fatto è che fuori dal Palazzo la moratoria non vige e, complici le pessime leggi approvate nella scorsa legislatura, la marcia trionfale verso il post-umano procede a ritmo serrato, bruciando le tappe per mille strade diverse, a cominciare dalle sentenze dei tribunali. Stare fermi, dunque, non è un atto neutro ma significa siglare la resa.
In Parlamento, dove i numeri contano ma l’iniziativa politica può fare miracoli, a tappare le falle non ci si è neanche provato (e l’unico provvedimento su cui ci si è applicati è un disegno di legge sull’affido condiviso assai divisivo nello stesso mondo pro-life). Fuori dal Parlamento, dove il problema dei numeri non sussiste, si è lasciato che un’agenzia di governo ponesse a carico del servizio sanitario nazionale il farmaco gender blocca-pubertà, si è approvato in Consiglio dei ministri un disegno di legge sui contratti pre-matrimoniali, e non vogliamo nemmeno sapere cosa stia passando dagli uffici dell’Unar e del sottosegretariato di Vincenzo Spadafora. Nelle Regioni, dove si governa senza l’intralcio del M5S, si dispensa RU486 come se piovesse e, mentre si derubricano i bambini abortiti a rifiuti ospedalieri, si aprono i cimiteri al seppellimento degli animali. Last but not least: sull’utero in affitto e le trascrizioni omogenitoriali, tema sbandierato come madre di tutte le battaglie di civiltà, non si è fatto nemmeno ciò che dal Viminale, esercitando la potestà funzionale di cui il ministro dell’Interno dispone nei confronti delle amministrazioni comunali, fece Angelino Alfano (e abbiamo detto tutto).
Se a fronte di questa sequela di azioni e omissioni, che restano tali ancorché ben camuffate, si ha la ventura di vedersi tributare applausi a scena aperta per mere asserzioni di principio, prescindendo da un dato di coscienza, è comprensibile che i destinatari di questo consenso “a gratis” se lo prendano. Ciò significa però che al di là dei bellissimi contenuti che verranno espressi nel fine settimana, da lunedì le questioni sul tavolo resteranno invariate, e bisognerà porsi il problema di come affrontarle.
In altre stagioni, anche molto recenti, un grande stimolo alla strategica operosità veniva da un mondo pro-family e pro-life che sapeva non fare sconti, che sottoponeva ogni asserzione a un vaglio critico e ogni azione ad attenta verifica, e che oggi invece, in alcuni casi, sembra aver perso la sua antica e benemerita attitudine a verificare la corrispondenza tra parole e fatti e a chiederne conto ai politici. Insomma, a fronte di un’aggressione laicista e nichilista che continua a crescere di livello, si ha l’impressione che dalla battaglia si sia passati alla testimonianza, e il timore che la testimonianza, sebbene scenografica e rumorosa, sia l’anticamera della resa. Inutile dire che attendiamo fiduciosi di essere smentiti e che saremmo i primi a gioirne.
Questo, come i venticinque lettori di Idefix avranno intuito, era un articolo sulla Verona vista dal di dentro e sulle sue contraddizioni. C’è poi però, appena fuori dalle mura del palazzo della Gran Guardia, un altro mondo e un altro congresso. Uno scontro che l’appuntamento scaligero ha riportato alla luce come un fiume carsico e nell’ambito del quale il congresso delle famiglie ha creato spazi di parola e visibilità. Uno scontro violento, che è arrivato alla mostrificazione, alla falsificazione, finanche al vergognoso boicottaggio degli alberghi che hanno osato stipulare convenzioni con l’organizzazione e alle pressioni al limite della minaccia nei confronti di ragazzi che hanno avuto l’ardire di mettere a disposizione la propria professionalità.
Uno scontro che coinvolge e riguarda tutti, che vede contrapposti coloro che pensano che l’individuo realizzi la sua libertà nella trasformazione di ogni desiderio in diritto esigibile, fino a calpestare i diritti e le libertà dei più deboli, e chi invece ritiene che la libertà personale si inveri nella responsabilità, nella relazionalità, nell’ancoraggio a un diritto naturale che precede e informa qualsiasi diritto codificato e che è scolpito nel cuore di ogni uomo.
Su questo terreno, è evidente che Verona siamo anche noi. Non solo perché alla Gran Guardia ci saranno tanti amici storici dell’Occidentale e della piccola grande comunità che ruota attorno a questo giornale, ma anche perché la Provvidenza soffia per mille sentieri, talvolta imperscrutabili, e, nella disfida tra i “progressisti” e i “medievali”, noialtri saprete sempre dove trovarci. Se ci permettiamo di esprimere delle riserve è perché questa battaglia rappresenta per noi un principio non negoziabile; è perché ogni centimetro di umanità strappato concretamente sul campo vale più di dieci congressi, di cento marce e di mille loghi; è perché vorremmo che di tutto questo non restassero soltanto strumentalità e parole mentre i nostri comuni avversari guadagnano indisturbati terreno a discapito di ciò in cui crediamo.