La figura del Generale Dalla Chiesa contro la cultura del terrorismo

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La figura del Generale Dalla Chiesa contro la cultura del terrorismo

03 Settembre 2007

Quando fu ucciso, il 3 settembre di 25 anni fa, Carlo
Alberto Dalla Chiesa era Prefetto di Palermo da poco più di cento giorni,
trascorsi, nella maggior parte, a chiedere poteri speciali con i quali
contrastare una mafia che aveva insanguinato quel 1982. Poteri che arrivarono
al suo successore De Francesco tre giorni dopo l’agguato di Via Carini, quando
un decreto del Governo Spadolini istituì la figura dell’Alto Commissario per la
lotta alla mafia.

Il Generale conosceva bene la Sicilia fin dal 1949,
quando fu destinato in una Sicilia afflitta dagli aneliti separatisti dell’Evis
(Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) e dove Cosa Nostra stava
uscendo dal sottobosco del latifondismo e dei gabellotti per dedicarsi alle
speculazioni edilizie. Indagò sull’omicidio di Placido Rizzotto, incriminando
Luciano Liggio, e sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, ma erano anni
in cui l’esistenza della mafia non era nemmeno considerata certa e
dimostrabile; anni di cui Leonardo Sciascia sbozzò un eccellente spaccato ne”
Il Giorno della civetta”, il cui protagonista, il capitano dei carabinieri
Bellodi, è molto simile a Dalla Chiesa.

Lasciata la
Sicilia iniziò a dedicarsi all’incipiente terrorismo di
stampo brigatista, in quella che fu la sua battaglia più incisiva e
determinante per la tenuta dello Stato e delle libere istituzioni. La struttura
antiterrorismo, da lui creata nel 1973, rivoluzionò l’approccio al fenomeno
eversivo e fu decisiva nel disarticolare il primo nucleo brigatista, che
ruotava attorno ai fondatori Curcio e Franceschini, arrestati a Pinerolo nel
1974, grazie anche all’infiltrazione di Silvano Girotto detto “frate mitra”. I
carabinieri dell’antiterrorismo erano segugi allo stato puro, armati di
teleobiettivi e di una certosina pazienza nell’appostarsi e attendere ore. Devotissimi
al loro comandante e alla causa, crearono un prototipo di investigatore “invisibile”
per la sua capacità di infiltrarsi e mimetizzarsi.

Il brigatista Patrizio Peci ha dichiarato recentemente: “Sapevamo
chi erano e come lavoravano gli uomini della Digos ma non sapevamo nulla dei carabinieri
dell’antiterrorismo. Dalla Chiesa era il nostro nemico peggiore perché era
invisibile”. Uno di questi “invisibili”, che operava con il nome di Ciondolo,
abile come pochi a muoversi nella notte, era riuscito a sapere, con largo
anticipo, dei preparativi per l’omicidio del giornalista Walter Tobagi. Nessuno
prese in considerazione le informazioni di Ciondolo, palesando un malessere che
oramai gravitava attorno a Dalla Chiesa e ai suoi uomini. I metodi, l’autonomia
e i poteri speciali di cui il nucleo antiterrorismo godeva cominciavano a
disturbare al punto che si arrivò allo scioglimento del gruppo. Gli
insegnamenti e lo spirito degli “invisibili” furono ripresi anni dopo da alcuni
carabinieri del R.O.S che, adoperando gli stessi metodi abbinati alla moderna
tecnologia, riuscirono nell’impresa di arrestare Totò Riina nel 1993.

A 25 anni dalla morte il Generale è ancora vivo nell’Arma;
le sue intuizioni, i suoi metodi innovativi sono patrimonio di ogni attività
investigativa ma, soprattutto, è ancora vivo il ricordo della straordinaria capacità
di gestire i suoi uomini, ottenendo da loro il massimo nelle condizioni più
impervie. Aveva sconfitto il terrorismo rosso e, se avesse vinto anche la
mafia, nessun obiettivo gli sarebbe più stato precluso a coronamento di una
vita trascorsa con indosso la divisa da carabiniere, con una fama di duro e qualche
ombra che non scalfisce il profilo morale, che resta altissimo. Dalla Chiesa
rimane un ufficiale che ha diviso, ha suscitato passioni e polemiche, applausi ed
odio, ma è indiscutibile il contributo alla legalità e alla democrazia di un
uomo che non si è tirato indietro nel momento che presagiva sarebbe giunto: quando
una raffica di kalasnikov lo uccide la sera del 3 settembre 1982, a Palermo, assieme alla giovanissima
moglie Emanuela Setti Carraro e al poliziotto Domenico Russo.