La Fiom difende l’indifendibile: il diritto a barare sul posto di lavoro

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La Fiom difende l’indifendibile: il diritto a barare sul posto di lavoro

17 Giugno 2010

Il no all’Accordo su Pomigliano «è incredibile». L’espressione di Emma Marcegaglia, numero uno di Confindustria, compendia compiutamente la vicenda sull’intesa separata tra Fiat e Sindacati che si è chiusa martedì con il voto favorevole di tutte le sigle (Fim, Uilm, Fismic e Ugl) tranne, appunto, quella dei metalmeccanici della Cgil. Per la Presidente «è incredibile che davanti ad un’azienda che va contro la storia prendendo le produzioni dalla Polonia e riportandole in Italia, e che investe 700 milioni di euro ci sia un “no!”». L’ultima parola spetta ora ai lavoratori, che martedì prossimo (22 giugno) potranno dire la loro con il referendum di stabilimento, mentre già ieri ne hanno discusso in assemblea.

Ed hanno votato il “no” all’accordo, recependo appieno il giudizio espresso dal comitato centrale della Fiom. Sul referendum, tuttavia, hanno consigliato «ai lavoratori la partecipazione per evitare azioni di rappresaglia individuale da parte dell’azienda», fermo restando il giudizio sulla consultazione ritenuta «inaccettabile e illegittima e in alcun modo vincolante per la Fiom». Zittito coi fischi il segretario regionale della Cgil che proponeva il voto favorevole al referendum. Con la Fiom è schierata l’Italia dei Valori, secondo cui è stata firmata «un’intesa che riduce drasticamente i diritti individuali e collettivi previsti dalla Costituzione e mette sotto ricatto i lavoratori». Per il Segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, «si poteva arrivare, con la buona volontà di tutti, a un accordo su assenteismo e flessibilità senza sfiorare delicate questioni giuridiche». Il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, si «augura che la Fiom e la Cgil non vogliano ostacolare questo percorso» referendario; per il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, «l’accordo su Pomigliano è la rivincita dei riformisti su tutti gli altri».

Le ragioni del no della Fiom convergono essenzialmente su due punti dell’Accordo: il punto 8, “assenteismo”, e il punto 14, “clausola di responsabilità”. Nel documento del 14 giugno, infatti, si legge «(…) il Comitato centrale condivide e sostiene la scelta di considerare non accettabile il documento conclusivo proposto dalla Fiat (…) e di conseguenza decide che la Fiom non può firmare un testo con contenuti che mettono in discussione diritti individuali, deroghe al Ccnl e con profili di illegittimità in materia di malattia e diritto allo sciopero», ribadendo tuttavia «la piena disponibilità a garantire efficienza e flessibilità produttiva dello stabilimento di Pomigliano attraverso un’intesa che garantisca il massimo utilizzo degli impianti, le flessibilità orarie utili a rispondere alla fluttuazione del mercato, un’organizzazione della produzione che garantisca qualità e produttività, salvaguardando le condizioni di lavoro». Alla Fiom, insomma, va bene tutto della proposta Fiat, tranne le “illegittimità in materia di malattia e diritto allo sciopero”: appunto i temi disciplinati al punto 8 e al punto 14.

Vediamoli, allora, questi due punti. Il punto 8 è una disposizione che mira a tutelare l’azienda (e soprattutto i lavoratori onesti) dal triste fenomeno dell’assenteismo, fissando misure cautelari a mo’ di annunci deterrenti. Due condizioni caratterizzano l’eccezionalità della norma: per la praticabilità, infatti, è previsto in primo luogo che l’assenteismo deve verificarsi in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche (questo garantisce i lavoratori, per esempio, che nei picchi stagionali dell’influenza la norma è inapplicabile; e tutela l’azienda da improvvise ed eccezionali epidemie in occasione, per esempio, di partite di calcio); e poi che la percentuale di assenti sia significativamente superiore alla media (questo garantisce, per esempio, che anche fuori dai picchi dell’influenza stagionale la norma resta inapplicabile fintantoché i lavoratori assenti per malattia rientrino statisticamente nei numeri del fenomeno).

Quindi solo in presenza concomitante di queste due condizioni l’azienda – questa la “sanzione” – è esonerata dal retribuire i lavoratori per i periodi di malattia correlati al periodo dell’evento (i primi 3 giorni di malattia, cioè il periodo c.d. di carenza che, “per legge”, non è retribuito). Dove sta lo scandalo di questa norma che, a dire della Fiom, mina la “legittimità in materia di malattia”? Il vero assurdo – che dovrebbe far arrossire proprio la Fiom e i Sindacati – è quello di vedere richiesto per iscritto un impegno ai lavoratori e ai Sindacati (e spronando i “medici” e i sanitari consenzienti) ad essere responsabilmente diligenti nei propri rispettivi ruoli e nel rapporto di lavoro con la propria azienda. E’ una richiesta di impegno a rispettare le regole, non una rinuncia ai propri diritti.

Il punto 14 prevede che «comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le clausole dell’accordo ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti all’Azienda, facendo venir meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l’Azienda gli effetti liberatori» in materia di: contributi sindacali, permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre; permessi sindacali aggiuntivi per i componenti delle Rsu; riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali. Fin qui non c’è nulla di che potrebbero rimetterci i lavoratori: le eventuali sanzioni, infatti, riguarderebbero solo ed esclusivamente i diritti (abbondanti) sui permessi dal lavoro per manifestazioni sindacali. Il fine è quello di precludere sul nascere possibili conflitti (c.d. tregua sindacale), ma solo ed esclusivamente sugli argomenti oggetto dell’Accordo; non anche per ulteriori e diversi argomenti per i quali il diritto di sciopero rimane  sacrosanto per Sindacati e lavoratori.

Firmato l’Accordo, in altre parole, la Fiat vuole escludere che sulle condizioni pattuite il giorno dopo possano intraprendersi rivendicazioni (scioperi, etc.) per una loro modifica. Il punto 15 stabilisce che i contenuti dell’Accordo diventano parte integrante dei singoli contratti di assunzione dei lavoratori «sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di uno di essi costituisce infrazione disciplinare» con facoltà per l’azienda di adottare i provvedimenti disciplinari conservativi e di licenziamento. Dove sta lo scandalo di queste norme che, a dire della Fiom, minano la “legittimità in materia di diritto allo sciopero”? Il vero assurdo, anche in tal caso, è quello di dover chiedere per iscritto un impegno a lavoratori e Sindacati ad essere responsabilmente diligenti nel rapporto di lavoro con l’azienda. Una seconda richiesta di impegno al rispetto delle regole, non una rinuncia ai propri diritti.

Ecco perché è davvero incredibile il no all’Accordo su Pomigliano della Fiom. Perché inconsistente e pretestuoso, se analizzato nei ranghi di (ciò che dovrebbe essere) un proficuo rapporto di relazioni industriali. Se la Fiom si stesse battendo, per esempio, per evitare il turno di lavoro domenicale, la lotta sarebbe almeno più giustificabile. Ma qui, invece, il ricatto della Fiom (se non firma, infatti, è possibile che vada a mare l’investimento della Fiat a Pomigliano) difende l’indifendibile: il diritto a barare sul rapporto di lavoro. Capisce bene chi vive ed opera nel Mezzogiorno dove il rispetto delle regole è un’esperienza eccezionale. Il sospetto è perciò un altro: la strenua opposizione della Fiom è sintomo di paura e di premura del Sindacato a difendere la roccaforte del “posto di lavoro” che, specie nei territori del Meridione, è ancora forma di “sistemazione” veicolata dagli ambienti del potere locale. Un posto di lavoro fatto solo di diritti e senza doveri di controprestazione: ciò che è stata la vera fortuna di un sindacalismo politicizzato. La proposta della Fiat è una scommessa per la ripresa economica e dell’occupazione. Serve all’Italia, ma serve ancora di più al Mezzogiorno. L’azienda ha messo in gioco risorse ed investimenti. Alcuni Sindacati hanno risposto sottoscrivendo l’impegno di “lealtà” dei lavoratori nel loro rapporto di lavoro. E la Fiom? Niente; propone un diktat: o resta tutto come prima o non se ne fa niente. Siamo seri: è forse il caso che la Fiom cominci responsabilmente a discutere su questioni che riguardano l’occupazione, prima che sulla difesa del posto di lavoro. Favorendo l’occupazione, infatti, si ottengono posti di lavoro; ma non vale certamente il contrario.